Ciao Laura

luglio 4th, 2012

laura_grimaldi.jpgSe n’è andata in punta di piedi, con la discrezione che la contraddistingueva.

Laura Grimaldi lascia un vuoto incolmabile nel panorama editoriale italiano.

Eccellente traduttrice – ricordiamo tra i tanti: Raymond Chandler; Donald Westlake; Eric Ambler; Scott Turow – e autrice (Il sospetto; La colpa su tutti) , ha dedicato la sua vita alla narrativa popolare, dirigendo tra l’altro,  le storiche collane Mondadori “Il Giallo” e “Segretissimo”.

Grazie Laura, ci hai insegnato tanto.

Non ti dimenticheremo.

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Isole e treni maledetti

giugno 7th, 2012

Diffidate di questi luoghi e di questi mezzi di trasporto…

 

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Cari ragazzi (formula scontata ma pur sempre efficace per attirare una qualche simpatia tra lettori stagionati) questa non è una ricerca esaustiva e, a dir la verità, non è nemmeno una ricerca (ne ho già fatte fin troppe nella vita) ma un excursus, così un po’ a capriccio come è nel mio costume, riportando in vita pure cose già scritte su alcuni luoghi tipici della letteratura poliziesca, dove sono avvenuti un sacco di morti ammazzati. Anche per mettere in guardia eventuali viaggiatori…

Parto dall’isola. Più precisamente da L’isola della paura di Anthony Berkeley, Mondadori 2011. Piccola, “più o meno quindici ettari di terra quasi pianeggiante” sulle scogliere, tra Madeira e le Bahamas. Qui il sorprendente (come personaggio) Guy Pidgeon, un accademico arricchito, porta una schiera di invitati, tra cui l’altro sorprendente Roger Sheringham, scrittore e investigatore, con lo scopo di smascherare un assassino di un vecchio delitto. E’ chiaro che i personaggi si trovano costretti a rimanere sull’isola, distribuiti in una serie di tende all’aperto, per un qualche motivo che non sto a spiegarvi. Sapere che tra loro c’è un assassino senza conoscerne il nome (Guy lo ha dichiarato espressamente) genera tutta una serie di incredibili reazioni. La vicenda si complica con la storia di un fantasma che di notte sembra ululare a tutto spiano e con l’idea che ci sia qualcuno là fuori che girella furtivo…

Di solito con una fava si prendono due piccioni ma con L’isola dei delitti di Agatha Christie, Hake Talbot e Roy Vickers, Mondadori 2008, con introduzione saporosa del nostro Mauro Boncompagni (che il Signore lo abbia in gloria) se ne prendono addirittura tre: due romanzi ed un racconto. E a poco prezzo.

Inizio da Dieci piccoli indiani della divina Agatha. Un mito. Non sto a farla lunga. Otto persone che non si conoscono fra loro sono invitate a trascorrere l’estate in una villa di Nigger Island (ecco la nostra isola) non lontana dalle coste del Devon in Inghilterra. Qui trovano il maggiordomo e la cuoca ma non il padrone che manca per motivi poco chiari. Sopra il camino delle camere c’è la famosa filastrocca “Dieci poveri negretti…”. Infine una voce registrata su un disco accusa tutti di essere degli assassini impuniti. E da qui inizia l’altrettanto famosa sequela di morti.

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L’isola: “A nord ovest, verso la costa, le rocce piombavano a picco sul mare, con la superficie perfettamente liscia. Sul resto dell’isola, non c’erano alberi e c’era ben poco che potesse servire da riparo”. “Un mondo, forse, dal quale non si poteva tornare indietro” scrive la Christie. Se a questo si aggiunge lo scoppio di una tempesta…

Continuiamo con Terrore nell’isola di Hake Talbot. E anche in questo caso si fa presto perché è un classico ben conosciuto. E dunque c’è Nancy che si sveglia e non si ricorda di niente. O meglio si ricorda di essere nella casa di Frant, il padrone, ma che gli ospiti ed i domestici sono tutti scomparsi. E allora incomincia a cercarli insieme a Rogan Kincaid, una vecchia conoscenza apparsa improvvisamente. Inizio alla grande. Il problema è che Frant è morto dopo una maledizione del fratello Evan. Di schianto, come si dice dalle mie parti. Nascono i dubbi. Morto per la maledizione o avvelenato? E in che modo può essere stato avvelenato? E perché non pensare al suicidio? Ma il corpo del morto al quale è stata tolta la pelle dei polpastrelli è proprio quello di Frant? E perché è in evidente stato di putrefazione? E così di seguito fino allo spappolamento del cervello del lettore.

Sull’isola chiamata Kraken non c’è molto da dire. A parte il fatto che il nome si riferisce all’antica leggenda di un mostro enorme che poteva ingoiare navi per intero e trascinarle nella sua tana (e già questo non tranquillizza affatto). Ha un “profilo bizzarramente roccioso contro la linea bassa della costa, distante meno di mezzo chilometro”. Intanto fuori infuria il solito uragano…

E così si passa al lungo racconto di Roy Vickers L’unico superstite che ricalca un po’ il romanzo dell’Agatha con l’eccezione del naufragio. Sempre su un’isola, si capisce. Chi racconta la storia attraverso un “affidavit” è il prof. William Edward Clovering. Il naufragio è della Marigonda con carico e cinquanta passeggeri provenienti dal Capo di Buona Speranza e diretti a Londra. Si salvano sette uomini su una scialuppa e, come era già capitato al nostro Robinson Crusoe, possono ricavare da vivere per un bel po’ attraverso carico di viveri e attrezzi tratti dalla Marigonda non completamente affondata.

Si salvano per modo di dire che uno dopo l’altro ci lasciano le penne, colpiti in testa da un arnese che può benissimo essere un martello. Angoscia, paura, sospetto. Chi è l’assassino? Uno di loro o un estraneo che si aggira sull’isola?

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Il documentario sul Giallo Mondadori in streaming

maggio 29th, 2012

Il documentario trasmesso nelle scorse settimane dall’emittente Iris è ora disponibile on line.

Una buona occasione per vederlo o rivederlo!

Buona  visione.

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IL GIALLO MONDADORI SU IRIS E RETE 4

maggio 7th, 2012

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Giovedì 10 maggio, alle ore 14.54, il Giallo Mondadori sarà protagonista di uno speciale televisivo su Iris, canale Mediaset del digitale terrestre, all’interno del programma “Ti racconto un libro”, curato da Annamaria Fontanella e ricco di news e curiosità realizzate Christian Mascheroni e Marta Perego.

La trasmissione è strutturata in diversi servizi che svelano i retroscena della letteratura nazionale e internazionale, propongono interviste a scrittori noti ed esordienti, mostrano il rapporto che intercorre tra letteratura e cinematografia, e permettono di incontrare le voci della cultura mondiali…

Lo speciale del 10 maggio, dedicato alla collana dei Gialli Mondadori, con un’intervista al direttore editoriale della collana, Franco Forte, sarà replicato tutta la settimana seguente, alle ore 17.13, e dopo un paio di settimane andrà in onda anche su Rete 4.

Per la frequenza esatta di Iris sui canali del digitale terrestre in base alla vostra regione, andate qui: http://www.tv.mediaset.it/digitaleterrestre/copertura.shtml

Il sito web della trasmissione: http://www.iris.mediaset.it/articoli/articolo_769.shtml

Redazione

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Con Caponapoli al Museo di Napoli

maggio 4th, 2012

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Il 10 maggio caccia dell’assassino al museoArcheologico di Napoli con l’autore di “Caponapoli”

Il 10 maggio alle 17, al Museo nazionale di Napoli, presentazione del romanzo di Massimo Siviero “Caponapoli”, in edicola dal 3 maggio nella collana del Giallo Mondadori. Interventi di Antonella Fracchiolla e Roberto D’Angelo. Letture e commento di Enza Silvestrini. Alcune delle sequenze thrilling del libro sono ambientate all’interno del museo archeologico, che è tra i più importanti del mondo.

Joe Pazienza, nel suo nuovo mestiere di investigatore privato, deve indagare anche nel Museo Archeologico di Napoli. Hanno rubato il famoso Vaso blu e altri reperti di epoca ellenica. Ma l’interesse di Joe per le sale di uno dei più importanti santuari dell’antichità nel mondo ha ben altre motivazioni. Omicidio. Se sono fatti collegati dovrà scoprirlo lui. Alcune movimentate azioni di Caponapoli, l’ultimo romanzo di Massimo Siviero in uscita il 3 maggio nella collana del Giallo Mondadori (n. 3055), sono anche ambientate all’interno di questo palazzo misterioso e carico di storia. Dove, in pieno orario di apertura, i turisti sono frastornati più dai lampeggiatori della polizia che dalla collezione dei Vetri o dal Gabinetto Segreto degli oggetti fallici.

Il Museo e poi? Joe Pazienza, che prima era reporter, fa troppe domande in giro e nel lavoro di detective rischia la pelle ad ogni angolo di vicolo e della città, tra donne misteriose, palazzinari e sicari. Sui Quartieri e nella cosiddetta Napoli-bene, o nei bui palazzi del centro antico. A cominciare dal “Caponapoli”: ospedale o girone dei dannati dai mille misteri? Sulla collina omonima tra i resti dell’acropoli. E a due passi dal Museo…

Naturale che la presentazione del libro avvenga in questo luogo che Siviero con l’artificio narrativo mette in una sequenza mozzafiato al centro della storia con le altre tappe non meno angoscianti. Il 10 maggio prossimo turisti e non turisti, amanti del brivido del Giallo Mondadori saranno tutti insieme con Caponapoli a caccia dell’assassino nel Museo Archeologico all’ultimo tocco delle 17. Scaramanzia dei numeri a parte che in un giallo non guasta mai, intervengono Antonella Fracchiolla, giornalista RAI, esperta di storie del brivido e guarda un po’ di archeologia e Roberto D’Angelo, che alla professione di radiologo aggiunge la passione per le trame enigmatiche. Leggerà e commenterà alcuni brani Enza Silvestrini.

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SE NON TROVATE I NOSTRI LIBRI IN EDICOLA

marzo 26th, 2012

Un appello ai lettori. Se non trovate i Gialli Mondadori, Urania e Segretissimo nelle edicole della vostra zona, oppure se nonostante un’esplicita richiesta di recuperarne delle copie gli edicolanti vi dicono che non è possibile, fatecelo sapere.

Per consentirci di intervenire presso la distribuzione in caso di irregolarità significative (mancate consegne oppure forti ritardi delle consegne stesse) È INDISPENSABILE SAPERE L’ESATTA UBICAZIONE DEI SINGOLI CASI, piuttosto che ricevere segnalazioni generiche.

Vi preghiamo quindi di indicarci sempre la città, la denominazione e se possibile l’indirizzo del punto vendita presso il quale si è verificato il problema (anche eventuali commenti del rivenditore sarebbero utili), mettendoci così in condizione di intervenire con maggiore tempestività ed efficacia per risolvere il problema.

Potete lasciare le vostre segnalazioni in calce a qualsiasi articolo, verranno lette sempre e in ogni caso: sarà però più semplice per noi procedere se le lascerete in corrispondenza al libro che avete avuto delle difficoltà a procurarvi. Ringraziamo tutti i lettori per la loro collaborazione, e assicuriamo che faremo il possibile per cercare di risolvere le situazioni distributive più critiche.

La redazione

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THE LOCKED-ROOM LECTURE : IL PERIODO D’ORO

marzo 20th, 2012

Prima di andare avanti, è necessario fare un passo indietro, a testimonianza del fatto che, qualora non l’avessi ancora dimostrato abbastanza, la Conferenza di Carr non nasce un bel giorno sotto un melo in fiore, ma è l’ultimo tassello seppure (quasi) definitivo della materia. Lo posso citare ora, perché, con una punta di orgoglio personale, posso dire che questo mio saggio è approdato al di là dell’Oceano Atlantico, e c’è gente che mi ha messo nelle condizioni di poter leggere cose che mai avrei pensato di poter acquisire.
Mesi fa, quando stavo approcciando la seconda parte del mio saggio, nel mezzo di una discussione, parlai delle possibili influenze di Carr ed un amico di Chicago, mi disse che non si ricordava in quale di due suoi romanzi, Carolyn Wells avesse inserito una propria discussione su le Camere Chiuse: The Broken O e The Bronze Hand. In seguito, riprese il discorso, e mi indicò il romanzo: The Broken O. Se ne ricordava perché l’aveva letto: entrambi rimanemmo molto sorpresi nel constatare che il romanzo in questione precedesse nel tempo il romanzo di Carr, dato che quello di Wells era del 1933 mentre quello di Carr, come si sa, è del 1935. Un bel giorno John mi ha messo a disposizione il libro, in fotocopie.
Carr dovette sicuramente leggerlo, tanto più che la Wells appartiene a quella schiera di romanzieri che pesantemente influirono su di lui. In esso, fu inserita una discussione importantissima che se non sapessimo che la precedè, saremmo tentati dal dire che cercasse di copiare quella di Fell.
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Rivelazioni!

febbraio 12th, 2012

La vera, incredibile storia di tanti personaggi leggendari. Da Poirot a Miss Marple, Da Sherlock Holmes a Nero Wolfe, da Philo Vance a Perry Mason…

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Sono stato incerto fino all’ultimo. La cosa è troppo grossa per essere creduta. Soprattutto da uno che si diverte a scrivere satirette e pezzi come “Che bella famiglia!”, oppure “Diario mediocre del solito giallista scacchista…” con quel che segue. Insomma da uno poco serio, poco credibile. Mi mangerei le mani per non essere stato sempre preciso, compito, tutto d’un pezzo, una personcina affidabile alla quale credere…credere anche alle cose più assurde e impossibili. Come questa.

Sputo il rospo anche se già vi vedo pronti a storcere la bocca e scuotere la testa. Ho ricevuto delle rivelazioni. Più precisamente delle lettere.  Ma non le solite lettere che si ricevono tutti i giorni dai parenti, dagli amici o dalla fidanzatina di turno. Voglio dire, è incredibile… ho ricevuto delle lettere da certi personaggi famosi del romanzo poliziesco! Un bel pacco di lettere infiocchettate che mi ha portato un tizio dall’aspetto misterioso (sembrava Babbo Natale) e che ribaltano completamente certi giudizi.

Qualcuno già si alza e se ne va, qualcuno rimane con evidente espressione di compatimento nei miei confronti. Facciamo in questo modo. Ascoltatemi e poi alla fine subissatemi pure di fischi o tiratemi quello che vi capita fra le mani.

Sono lettere così commoventi e nello stesso tempo così piene di risentimento, di odio  e di rimpianto che mi hanno commosso e sconvolto allo stesso tempo. Non so per quale motivo i loro autori abbiano scelto proprio il sottoscritto come destinatario ma le vie del Signore sono infinite. Mi hanno anche pregato di leggerle e di far conoscere il loro contenuto ai lettori di questo blog e le vie del Signore sono ancor più infinite. Un giorno, se Mauro o Luca mi daranno una mano (il mio inglese beccheggia come un’anatra zoppa), potremo anche pubblicarle.

Sono lettere firmate. Vedi quella di Poirot. Avete capito bene. Proprio lui, quel tipetto bassotto pienotto, con i baffetti ben curati, i guanti, le ghette, il bastone sempre dietro, quello delle celluline grigie, insomma, l’infallibile investigatore creato dalla immaginifica penna della Christie. Un’arpia, una strega, un tiranno. No, non sono io che lo dico. E’ Poirot stesso che lo ripete in continuazione. Lui per natura disordinato, per non dire caotico, costretto ad essere sempre preciso, stirato, impomatato e lucidato a puntino. Lui, un uomo del tutto normale, ridotto ad un mezzo omuncolo con la testa d’uovo! Le pare che abbia la testa d’uovo? mi ha chiesto evidentemente stizzito, accludendo una sua foto alle lettera. E non c’è da dargli torto. Tra l’altro è pure senza baffi. E non è nemmeno belga. Un italiano, Porro, storpiato malignamente, dice lui, in Poirot. Un italiano che tra le varie stupidaggini inventate non patisce il freddo, e che, e qui tralascio la sequela di insulti per la nostra Agatha, ama appassionatamente le donne. Tra le quali figura, figura…Miss Marple!

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No, non andate via anche voi, lo giuro (tra l’altro pensate di trovare qualcosa di meglio in giro?), sì proprio Miss Marple che non è la vecchietta simpatica che abbiamo conosciuto ma uno schianto di figliola da far strabuzzare gli occhi (foto docet), costretta dall’arpia, gelosa fradicia, a truccarsi e trasformarsi in grinzosa zitella. La sera, dopo il lavoro, dopo il supplizio, si incontravano per dare libero sfogo alla loro passione. E questo fatto è confermato dalla stessa Miss Marple, nome vero Lucia Marpalò, anche lei italiana, nella sua lettera, votata alle umiliazioni più penose come a ciangottare di continuo con delle moriture, per non perdere il posto di lavoro in un momento di gravi difficoltà economiche.

L’ultima parte è davvero commovente. Una confessione dolorosa e difficile che deve essergli costata molto. Poirot non era quell’infallibile genio che abbiamo conosciuto, quell’ingegno mostruoso che scioglieva gli enigmi più incredibili e complessi. Poirot aveva un suggeritore! Sì, proprio un suggeritore nascosto nel punto giusto dalla “strega” che sbrogliava tutte le matasse poliziesche e lui a ripetere come un allocco. A volte non c’era nemmeno bisogno del suggeritore perché la storia, insinua malignamente Poirot, era così scombinata che poteva andar bene qualsiasi soluzione. E non deve avere avuto neppure troppo torto se un famoso scrittore, a proposito di “Assassinio sull’Oriente Express”, scrisse che solo un deficiente, o giù di lì, avrebbe potuto scoprire chi era l’assassino.

Un’altra lettera è di Nero Wolfe. Di quell’omone grande e grosso uscito fuori a stento (battutina extra) dalla penna di Rex Stout. Dice subito che ha vomitato più lui degli antichi romani al vomitorium, e che quello stupido di un Fritz non era per niente il cuoco invidiabile descritto dall’autore, ma un rimescolatore di brodaglie da strapazzo.  Che le favolose le frittelle mattutine, le salsicce di mezzanotte, lo stufato d’anatra ripiena e perfino l’insalata brasiliana gli procuravano immancabilmente una stressante diarrea. Una volta erano arrivati perfino alle mani e aveva ricevuto una coltellata ad un braccio su cui portava ancora i segni.

Le orchidee non lo interessavano manco pe’ gnente (tradotto un po’ alla paesana), mentre subiva una attrazione particolare per il girasole così allegro, così illuminante, ed anche per il giaggiolo senza una spiegazione precisa. C’erano state lotte furiose con l’autore ma alla fine l’aveva vinta lui, con la promessa che qualche volta lo avrebbe fatto uscire dalla sua casa, dalla quale non lo faceva muovere di un passo. Il lavoro gli piaceva, questo è vero, ma invidiava soprattutto gli investigatori dell’hard boiled che potevano scorrazzare in giro a loro piacimento tra cazzotti e pistolettate. Una volta si era messo perfino in contatto con uno di quei personaggi scapestrati che tanto lo entusiasmavano, un certo Sam Spade che gli aveva promesso una parola buona con il suo autore. Scoperto da  Archie Goddwin era stato preso per il bavero e riportato di forza, seppure con fatica, all’ovile. Era solo lui, lui solo, gli disse in tono minaccioso che doveva fare quello che facevano quelli dell’hard boiled. Nero Wolfe in poltrona a ponzare, zitto e mosca. E così è trascorsa la sua vita fra orchidee, Fritz, Goodwin e poltrona, appunto.

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Ho ricevuto due lettere complementari: una di Sherloch Holmes e una di Watson. Riassumo per non farla troppo lunga. Sherlock Holmes nella vita non voleva fare certo il protagonista di gialletti da strapazzo. Semmai l’eroe in uno di quei romanzoni belli tosti di guerra e amori impossibili che rimangono impressi per una miriade di anni nell’animo di dolci, ammalianti fanciulle. Costretto a forza con la droga (da qui l’uso della cocaina) dall’autore ad interpretare un ruolo che non sentiva suo.  Non sopporta, non ha mai sopportato il violino, strumento da fighetti, ma ha sempre avuto una passione sviscerata per il tamburo. Da ragazzo stamburate da tutte le parti e una notte in gattabuia per avere tenuto sveglio l’intero quartiere. Falsa la celebre frase “Elementare, Watson!”, inventata ad arte da Doyle solo per infondergli un’aura di infallibilità. La sua espressione nei momenti cruciali era ben altra “Ora so’ cavoli amari, Watson!” (traduzione edulcorata), per dire che l’incertezza era il suo campo di battaglia. Alla forca tutti gli imitatori successivi che lo hanno preso in giro o  fatto diventare un pacioso apicultore.

Il dottor Watson, a sua volta, è di umore nero, nerissimo, per avere dovuto interpretare sempre la parte del bischero, della spalla, lui portato ad essere il personaggio principale. Suo udito stravolto dalle strampalate note del violino stonato e dalle strampalate deduzioni dello spilungone che mandavano in visibilio una turba ammaliata di lettori allocchi. Costretto, a volte, ad interpretare altre figure di contorno e perfino  il famoso mastino di Baskerville in un momento di penuria di attori (non c’era un cane che volesse fare quella parte). E qui ha emanato, pardon scritto, una specie di struggente guaito che mi ha rimescolato il sangue.

Philo Vance si lamenta di essere stato trasformato in un personaggio di discendenze nobiliari, colto e raffinato, mentre per sua natura era portato più ai modi spicci e naturali dei campagnoli. Di nascosto la notte a bettole e puttane. Fiumi di birra e rutto libero alla Fantozzi, seguito da qualche mitragliata nelle parti basse (traduzione piuttosto libera e modernizzata). Gli scacchi, poi, adatti a smidollati perditempo buoni a nulla. Al che mi sono piuttosto incacchiato e ho in mente di rispondergli per le rime. Anche se non ho ancora trovato la risposta giusta…

Aria! Aria! Aria! grida di continuo Henry Merrivale,  il Vecchio di Carr, come se fosse sotto un attacco di asma. E tutta la lettera dà l’idea di uno fuori di testa che ripete sempre le stesse cose con una novità assoluta: il delitto della camera aperta. Il suo autore non ne ha mai voluto sapere, costringendolo ad estenuanti soggiorni in camere chiuse, ed ora il Vecchio la propone alle generazioni di questo secolo. Un delitto in una casa con porte e finestre aperte dove circoli un’aria almeno respirabile per chi deve condurre le indagini e dove l’assassino venga visto mentre compie il misfatto. Un’idea nuova, originale, geniale, punteggiata da “Arconti di Atene!”. Milionate e milionate di copie vendute. Dice lui. E non c’è da dargli torto, dico io, che le stronzate oggigiorno (ma forse è stato sempre così) vendono più dei capolavori.

Philip Marlowe ce l’ha a morte con l’autore che lo faceva fumare di continuo. Ha scritto una lettera pietosa da un ospedale (non stiamo a sottilizzare, eh!) dove è in cura per un cancro al polmone. Manda un saluto a tutti e ci prega di ricordarlo. Gli risponderò di stare tranquillo che il suo nome vincerà di mille secoli il silenzio. E non mi pare poca cosa, visto il poetico accostamento.

Lo stesso dicasi per Duncan Maclain, l’investigatore cieco di Baynard Kendrik, che ci vedeva benissimo ed era costretto a girare le scene fantasiose del suo autore con una benda sugli occhi. Per entrare meglio nel personaggio, secondo Baynard. Al suo attivo una trentina di riferimenti variegati da primo posto al Festival Internazionale degli Insulti. Dove “abita” ora può vedere all’opera un bel po’ di campioni del gioco degli scacchi che ha sempre amato con i loro tic e le loro manie che si portano appresso. Fischer fa un casino del diavolo per la scacchiera che non gliene va bene una, la luce troppo forte o troppo debole, il pubblico troppo vicino o troppo lontano e insomma un bel rompipalle; Lasker avvelena tutti con il suo sigaro pestilenziale e sbuffa di continuo “Lotta, sempre lotta, fortissimamente lotta!”; Tal ipnotizza i suoi avversari con lo sguardo dei suoi occhi diabolici e sulla scacchiera sacrifici a go-go; Blackburne gira mezzo ubriaco fra i tavoli e arraffa tutti i liquori a portata di mano; Steinitz ha sfidato perfino Dio su dieci partite e insomma intelligenti, mah, strani parecchio, di sicuro.

Padre Brown si lamenta, invece, di non essere stato una vera, genuina creatura del favoloso intelletto di Chesterton, un personaggio, cioè, compiutamente inventato  e non una fotocopia di un essere esistente come Padre John O’ Connor di Bradford, al quale manda subito un paio di sentiti accidenti per quel viso rotondo e inespressivo come gnocchi di Norfolk e gli occhi incolori come il mare del Nord. Almeno l’autore avesse scelto un esemplare umano di un certo fascino! E invece si ritrova ad essere un pretucolo da strapazzo imbranato fradicio con l’ombrello che gli casca perennemente fra i piedi. Una macchietta, solo una macchietta! E giù altri accidenti che in bocca ad un religioso mi hanno creato, devo dire, un certo imbarazzo.

Perry Mason sbuffa e risbuffa di non avere mai potuto intessere una relazione amorosa con Della Street, di cui era innamorato pazzo. Solo rapporti di lavoro, mentre lui si ingrifava (mio conio) non appena la vedeva ancheggiare con il lato B bello sodo, e l’avrebbe pure inchiappettata (dovrò consultarmi con Mauro e Luca) anche durante il controinterrogatorio di un teste reticente. Qui non ho potuto edulcorare niente e speriamo in un momento di distrazione del responsabile.

Insomma ho fra le mani una interminabile sequela di lettere esplosive che faranno saltare sulla sedia i lettori del mondo letteral-giallistico. Ne cito soltanto altre due per non farla troppo lunga. In primis quella del famoso Maigret che si lamenta di una vita insipidamente grigia insieme alla signora Maigret, appunto, e dei quintali di birra che gli ha fatto ingurgitare l’autore. Conseguenza prostata da mongolfiera e corse interminabili al gabinetto. Per seconda quella di Charlie Chan, il cicciottello ispettore di Honolulu, stressato dalla ricerca disperata di proverbi e aforismi vari con i quali condire le sue indagini. Non aveva un attimo di tregua e doveva tirarli fuori anche di notte per finire freschi freschi al mattino sulle pagine dell’autore. Dalla scrittura zigzagante e da tutto il contesto del discorso si evince uno stato mentale decisamente alterato.

L’unico soddisfatto in questa trenata di musi lunghi e volti paonazzi è John Evelyn Thorndyke che si crogiola beato nella sua bellezza apollinea, o quanto sono bello, o quanto sono fascinoso e come me non c’è nessuno. Bello e scientifico con quella sua valigetta verde sempre appiccicata dietro e dunque mi prega di ricordarlo ai lettori, qualora se ne fosse dipartita la memoria. Insieme al suo creatore, Richard Austin Freeman che, smack smack smack, se lo bacerebbe tutto!  Anche per quell’inverted story, una robetta mica da poco nell’ambito della letteratura poliziesca. E insomma ricordateci, ricordateci, ricordateci e allora me lo segno,  seppure  con un po’ di stizza che a me non mi ricorda nessuno (alla paesana).

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Tutte le lettere, ad eccezione di quest’ultima, sono un miscuglio di rabbia, invettive e rimpianto di noti personaggi, per non essere stati riconosciuti per quello che erano. Una lotta continua con gli autori che li tiranneggiavano ed umiliavano. Li rendevano ridicoli con i loro tic, le loro stupide manie inventate  per attirare l’attenzione del lettore e vendere di più. I personaggi letterari, e il romanzo poliziesco è letteratura, hanno diritto ad essere rispettati per quello che sono e nessuno deve modificare la loro natura.

Questo è il messaggio principale. Il sottoscritto l’ha recepito e comunicato in questo blog. Ed è tutto vero, giuro, cascassero le palle a quelli che non mi credono.

                                                                 Fabio e Jonathan Lotti

 

 

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Dissertando di camere chiuse

gennaio 12th, 2012

Torna puntuale, l’appuntamento con “La camera chiusa” la nostra rubrica dedicata al mistery nella quale, questo mese, Piero De Palma ci parla di “The hollow man” dell’impareggiabile John Dickson Carr.

Buona lettura!

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Possibili origini della Locked-Room Lecture in “The Hollow Man”, di John Dickson Carr

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Assumendo come punto di riferimento la Locked-Room Lecture in “The Hollow Man” di Carr, dobbiamo rilevare come una prima dissertazione sulle Camere Chiuse risalga purtuttavia a quasi quarantaquattro anni prima.

Infatti Israel Zangwill nel capitolo IV del suo The Big Bow Mystery (1892), elenca tutta una serie di possibili eventualità atte a spiegare una Camera Chiusa:

“Tra i molti prodotti della fantasia, c’erano non poche soluzioni degne di rilevanza, che però fallirono miseramente, come razzi al posto di stelle cadenti. Una di queste era che, nell’oscurità della nebbia, l’assassino era salito alla finestra della camera da letto, dal marciapiede, per mezzo di una scala. Poi, con un diamante, aveva tagliato via uno dei vetri, riuscendo così ad entrare. Nell’andarsene, aveva rimesso a posto il vetro (o un altro che si era portato dietro), ragione per cui la serratura del­la porta non era stata scassinata. Quando fu ribat­tuto che i vetri erano troppo piccoli, un terzo letto­re rispose che il fatto era irrilevante, perché sareb­be bastato infilare una mano per aprire la finestra, per poi ripetere l’operazione prima di andarsene. Questo edificio di vetro fu fatto crollare da un ve­traio: scrisse che era impossibile fissare un vetro da una parte sola dell’intelaiatura, perché sarebbe ca­duto non appena fosse stato toccato e, in ogni caso, lo stucco umido non sarebbe sfuggito all’investiga­tore. Si avanzò anche l’ipotesi che fosse stato tolto e rimesso un pannello della porta e alla fine al nu­mero 11 di Glover Street era stato attribuito un nu­mero infinito di botole e porte scorrevoli, neanche si fosse trattato di un castello medievale. Un’altra di queste teorie ingegnose sosteneva che l’assassino era rimasto nella stanza per tutto il tempo in cui c’era stata la polizia… nascosto nel guardaroba. Oppure che si era messo dietro la porta quando Grodman l’aveva sfondata e che non era stato no­tato nella confusione generale e perciò era riuscito a fuggire, con l’arma del delitto, nel momento in cui l’ex investigatore e la signora Drabdump stava­no esaminando la chiusura della finestra.

A sostegno non mancavano spiegazioni scientifi­che che facevano capire come l’assassino avesse sprangato e chiuso a chiave la porta dietro di sé. Sarebbero state usate delle potenti calamite fuori della porta per girare la chiave e rimettere la spran­ga all’interno. La fantasia della gente fu popolata da assassini con potenti calamite. Unico difetto di tale ingegnosa ipotesi: l’impossibilità. Un fisiologo tirò in ballo i prestigiatori che inghiottono spade (a causa di una particolare anatomia della gola) e dis­se che forse il defunto aveva inghiottito l’arma do­po essersi tagliato la gola. Questo, però, era troppo da inghiottire persino per il pubblico.

Riguardo al­l’ipotesi che il suicidio fosse stato attuato con un ra­soio o soltanto con la sua lama, o anche con un pez­zo di ferro, che poi era affondato nella ferita, non potè essere accettata neanche per un momento…

Tuttavia, forse, il più brillante di questi lampi di genio fu la lettera scherzosa, ma probabilmente non del tutto, che apparve sul Pell Mell Press:

…Egregio signore, vi ricorderete che quando gli assassini del caso Whitechapel sconvolsero l’opinione pubblica, avevo suggerito che l’as­sassino era il coroner della zona. Fui ignora­to. Il coroner in questione è ancora in libertà. E così l’assassino di Whitechapel. Forse tale coincidenza porterà le autorità a prestarmi più attenzione, questa volta. Il problema sem­brerebbe il seguente. Arthur Constant non può essersi tagliato la gola e non può essersela fatta tagliare da qualcun altro. Ma poiché una di queste circostanze si è verificata, tutto ciò è assolutamente assurdo. E, trattandosi di as­surdità, sono giustificato a non crederci. Giacché tale ovvia assurdità è stata messa in circolazione soprattutto dalla signora Drab-dump e dal signor Grodman, mi sento auto­rizzato a non credergli.

Per farla breve, signo­re, cosa ci garantisce che tutta la storia non sia soltanto frutto di fantasia, inventata dalle due persone che per prime hanno trovato il cor­po? Quali prove abbiamo che non siano state proprio loro ad aver sfondato la porta e rotto le serrature e le spranghe e a richiudere tutte le finestre prima di chiamare la polizia? …L’ipotesi del nostro scrittore non è poi così originale come lui la ritiene. Non ha lui, in fondo, guardato con gli occhiali di coloro che continuarono ad insistere che l’assassino di Whitechapel non era altri che il poliziotto che aveva scoperto il corpo? Qualcuno trova sem­pre il corpo, se si trova.

Redattore capo P.M.P.

(Israel Zangwill, The Big Bow Mystery, “Il Grande Mistero di Bow”, traduz. Leda Armstrong, I Classici del Giallo Mondadori, N.606 del 1990, pagg.48-51).

Come si vede, si può parlare già di una dissertazione, anche se impropria, che comprende varie ipotesi, anche se non si può ancora parlare di conferenza: la conferenza ha infatti un che di cattedratico, e perciò tende a dare sistematicità e organicità alle proprie ragioni. Qui invece la materia è ancora affrontata in maniera ingenua e informale, senza alcun tentativo di classificarla. Tanto più che, se vi sia la volontà di enumerare una serie di possibilità, essa è propria di Zangwill, e la si capta attraverso la lettura delle pagine indicate; non esiste invece alcuna dichiarazione circa l’enumerazione delle possibilità di commettere l’omicidio in una Camera Chiusa, che possa corrispondere in effetti alla volontà di creare una conferenza, né tantomeno viene creata nell’opera una possibilità sostanziale che ciò avvenga, mediante un personaggio del romanzo che, come farà Carr con il Dottor Fell di quarantaquattro anni dopo, illustri una conferenza a ciò dedicata. Nonostante ciò, vengono già gettate delle basi che saranno utilizzate di lì a venire. Quello che poi voglio far notare è che proprio qui, per la prima volta,e non in Le mystère de la chambre jaune di Gaston Leroux (1907), viene introdotta la possibilità che anche un poliziotto possa essere l’omicida.

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Tutto quel nero a Torino

dicembre 14th, 2011

Cristiana Astori, autrice del Giallo Mondadori numero 3041, “Tutto quel nero”, sarà ospite giovedì 15 dicembre alle ore 20.00 dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema, in occasione dell’appuntamento “In attesa della V Sagra del Cine – Un giorno al Cinema”

“In attesa della V Sagra del Cine – Un giorno al Cinema”, l’appuntamento annuale ideato da Steve Della Casa e Lorenzo Ventavoli per regalare ai cinefili torinesi un full time di proiezioni e incontri per tutti i gusti e per tutto il giorno che si terrà nei primi mesi del 2012, l’Associazione Museo Nazionale del Cinema (AMNC) propone per giovedì 15 Dicembre, alle ore 20,00 al Cinema Romano, un programma speciale in tre tempi, curato da Lorenzo Ventavoli e Stefano Francia di Celle: la presentazione di un libro giallo a tema cinematografico, un’anteprima d’eccezione e la proiezione di un attualissimo documentario di denuncia.

La serata avrà inizio con la presentazione di “Tutto quel nero” di Cristina Astori (2011, Mondadori), un romanzo ispirato alla morte di Soledad Miranda, attrice feticcio del cinema di Jesùs Franco. “La figura di Soledad Miranda – dice l’autrice – mi ha sempre affascinata per la sua sensualità inquietante e insieme malinconica, non per niente i suoi ruoli migliori sono quelli in cui interpreta la parte della vampira. La sua morte è avvenuta nel 1970 in un incidente le cui cause non sono mai state chiarite. Il mio romanzo è incentrato su una leggenda metropolitana secondo cui ci sarebbero delle analogie tra un introvabile documentario che la vede protagonista e le misteriose circostanze della sua scomparsa”. La presentazione del libro verrà accompagnata da alcune sequenze di film di Jesùs Franco e le letture di Anna De Donno. Intervengono l’autrice Lorenzo Ventavoli e Fabio Pezzetti Tonion.

A seguire la proiezione in anteprima torinese dell’ultimo film di Andrej Wajda, “Tatarak” (Polonia, 2009, 85′), presentato al 59° Festival di Berlino. Il film è la versione cinematografica di un noto dramma polacco dello scrittore Jaroslaw Iwaszkiewicz: Marta è la moglie di un dottore di mezza età che combatte contro i dolorosi ricordi di una vita e che improvvisamente riscopre il potere dell’amore. “Tatarak” si propone come una sentita riflessione sulla morte, sulla malattia e sul modo in cui ci si rapporta a essa, nonché sulla giovinezza e sulle tragedie che possono coinvolgerla. Così ne parla il regista: “Dopo “Katyn” avevo bisogno di liberarmi della tensione che quel lavoro, che affrontava la storia di mia madre e della morte di mio padre, aveva creato in me. Così ho deciso di rivolgermi a uno scrittore che avevo già incontrato altre volte in passato…” La novella “Tatarak” di Jaroslaw Iwaszkiewicz mi aveva sempre interessato e ho coinvolto l’attrice Krystyna Janda, offrendole il ruolo di Marta”. Il film verrà introdotto da Matteo Pollone dell’AMNC.

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Il programma della serata si concluderà con la proiezione del documentario di Maurizio Cortolano che racconta la tragica storia di Stefano Cucchi: “148 Stefano Mostri dell’inerzia” (2011, 64′). Da un’idea di Giancarlo Castelli, prodotto da Simona Banchi e Valerio Terenzio e con la voce di Claudio Santamaria che legge i brani tratti dalle lettere di Stefano, il documentario è un atto di denuncia, di civiltà e di riflessione su una tragedia di cui ancora si cercano le fila e che apre al più generale quesito delle misteriose e numerose morti nei penitenziari italiani. Introdurranno la proiezione il regista, la produttrice Simona Banchi ed Emanuele Tealdi dell’AMNC.

Giovedì 15 Dicembre 2011
ore 20,00, Multisala Cinema Romano
(Galleria Subalpina – Torino)

Ingresso gratuito fino a esaurimento posti disponibili

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