Il prezzo dei soldi (3049)

febbraio 2nd, 2012

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John March, investigatore privato, è perplesso. Nina, la donna che vorrebbe incaricarlo di ritrovare l’ex marito, scomparso nel nulla, non è mossa da affetto o da pietà. No, ha soltanto bisogno che lui continui a pagarle gli alimenti. È una questione di soldi, ha un figlio da mantenere. Semplice e chiaro. Domanda di routine: l’uomo aveva qualche buona ragione per voler sparire, oppure dei nemici che potrebbero avergli fatto del male? Risposta: un analista finanziario d’assalto come lui ha un’infinità di nemici, quindi tutto è possibile. Non è una che abbia peli sulla lingua, questa Nina. Ok, affare fatto, è comunque lavoro. E tuttavia, quando lei e la sua convivente si esibiscono in un bacio appassionato, John March è sempre più perplesso. Non è certo un bacchettone, ma questa storia puzza lontano un miglio. E il suo naso sbaglia di rado.

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Il Giallo Mondadori Oro 8: La legge di Mike Hammer

luglio 2nd, 2018

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Mickey Spillane / Max Allan Collins

La legge di Mike Hammer

Numero : 8

Luglio 2018

Un tossico da quattro soldi con un posto riservato sulla sedia elettrica per un omicidio di primo grado. Strano, perché è uno talmente stupido da non essere capace nemmeno di concepirlo, un omicidio di primo grado. Magari è stato incastrato? Anche un Signor Nessuno ha diritto a un briciolo di giustizia, e Mike vuole vederci chiaro. Ma per fare il detective privato devi essere vivo e ultimamente da questo punto di vista non va tanto bene. Prima quella rissa alla fermata della metropolitana, quando per poco non l’hanno spedito sui binari, poi quell’auto nella notte che l’ha mancato per un soffio. Ah, e poi c’è stato quel finto rapinatore che ha tentato di accoltellarlo. Mike gli ha spezzato il braccio, ma resta il fatto che qualcuno l’ha preso di mira. E scoprire che un serial killer appena giustiziato se ne va a spasso per le strade come un fantasma non aiuta il suo equilibrio mentale. Già, a New York succedono un sacco di cose brutte. Per fortuna ci pensa lui a metterci una pezza, insieme a una splendida brunetta come Velda, la sua socia e segretaria tutta curve. La vita fa un po’ meno schifo, in questa dannata fogna, fi nché in giro c’è Mike Hammer.

Mickey Spillane (1918-2006), statunitense, inizia a collaborare a riviste di narrativa nel 1935 e negli anni Quaranta diviene sceneggiatore di fumetti. Passato al giallo, raggiunge in breve un immenso successo portando all’estremo elementi dell’hard boiled quali la violenza, il sesso e il disprezzo delle regole. Nel 1983 riceve il Private Eye Writers of America per la carriera. L’investigatore Mike Hammer è il suo personaggio simbolo.

Max Allan Collins (1948), statunitense, è considerato “l’uomo del Rinascimento del mystery” per l’ecletticità della sua produzione, che gli è valsa premi e riconoscimenti prestigiosi. Dagli anni Ottanta collabora con Spillane a diversi progetti. Alla morte dello scrittore ne raccoglie l’eredità letteraria, dedicandosi a completare le storie rimaste incompiute.

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I Classici Oro de Il Giallo Mondadori 6: Delitto in prestito e altre storie

giugno 21st, 2016

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Dichiararsi colpevoli, da innocenti, può essere molto più pericoloso del contrario. Un insegnamento che Jerome Swanson pagherà a caro prezzo. Lui ha un’ottima ragione per correre il rischio, beninteso: suo
figlio è gravemente malato e occorrono subito i soldi per curarlo. Un migliaio di dollari, dice il medico. Come procurarseli, senza avere un lavoro né qualcuno a cui rivolgersi? Impossibile ottenere credito senza
garanzie. Ecco allora come: un giornale offre proprio mille dollari a chi fornirà informazioni utili alla cattura di un assassino, perciò a Jerome basterà assumersi la responsabilità del delitto e pretendere il pagamento. Poi penseranno sua moglie e il medico a scagionarlo, una volta provveduto alla salute del bambino. Un piano talmente folle e disperato che potrebbe anche riuscire. Solo che un simile ingranaggio,
una volta messo in moto, non si arresterà tanto facilmente, con il suo ineluttabile corollario di sciagure. Perché è un destino inesorabile a dettare il passo, qui come nelle altre storie, dominate dalle angosce
e dalle ossessioni che popolano il mondo di Cornell Woolrich.

Cornell Woolrich (1903-1968) è uno dei grandissimi del giallo americano. Nei romanzi e racconti scritti nel corso di un’esistenza travagliata, vivendo per anni rinchiuso negli alberghi di Manhattan, ha saputo come nessun altro innestare sui meccanismi del suspense il senso di solitudine dell’individuo in balia di un mondo spietato e incomprensibile, la disperazione per l’amore frustrato, l’angoscia e il puro terrore, che rappresentano la sua cifra inconfondibile. Si è fi rmato anche con lo pseudonimo di William Irish.

All’interno il racconto “Zezolla” di Diego Lama

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2 romanzi a confronto di Anthony Berkeley: The Wychford Poisoning Case vs Not to Be Taken

marzo 24th, 2014

Unknown

Non mi dilungherò a introdurre Anthony Berkeley perché è uno scrittore di cui ho già parlato in passato. Oggi parleremo in particolare di due romanzi, che a parere mio potrebbero essere speculari: The Wychford Poisoning Case (1926) e Not to Be Taken (1937).

Perché innanzitutto questi due? Perché se è vero che, nella produzione di Berkeley, parecchi sono i romanzi in cui si discute di avvelenamento, è anche vero che questi due romanzi trattano entrambi un classico avvelenamento da arsenico.

E’ da dire che nella produzione in genere britannica, vi sono vari scrittori che hanno affrontato il tema del veleno a partire dagli anni ’20. Se nel caso di Agatha Christie, la sua conoscenza di medicinali e veleni si formò durante il servizio, nel corso della Prima Guerra Mondiale, presso l’ospedale di Torquay, il fatto che molti altri scrittori in quegli anni abbiano scritto romanzi polizieschi le cui trame fossero basate su avvelenamenti ( Berkeley, Brand, Sayers, Rhode, Freeman, etc..) significa che era un argomento condiviso generalmente : esso potrebbe essere stato in relazione al bombardamento mediatico che nelle prime due decadi del secolo e anche prima ci fu a riguardo di famosi avvelenatori (Armstrong, Crippen, Maybrick, Seddon) che influirono pesantemente su scrittori che  necessariamente avrebbero dovuto andare incontro alle aspettative del pubblico; e sicuramente un bacino di utenza pesantemente influenzato da notizie di crimini basati su avvelenamenti, avrebbe meglio accolto romanzi di intrattenimento che avessero dibattuto delle stesse cause: un po’ come è oggi in cui i romanzi polizieschi in generale, in una società in cui i valori sono il sesso e i soldi, basano i loro crimini su sesso e soldi, e sulle loro implicazioni di carattere perverso.

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Dal mystery (lottiano) all’hard boiled

marzo 3rd, 2011

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Prima il mystery e poi l’hard boiled con quel che segue. Strano, mi pare proprio strano. Che un ragazzaccio di strada, un monellaccio strafottente (tutta apparenza eh…), un lettore appassionato di Tex Willer, e dunque di spazi aperti, cavalcate, cazzotti e sparatorie, di frenetico movimento, insomma, si fosse lasciato irretire e conquistare in seguito da spazi angusti, spesso chiusi, da vecchiette sferruzzanti e omettini grigi il cui unico movimento era dato dalle indaffarate cellule grigie. Strano, ma forse spiegabile, che già il movimento lo avevo fatto di mio a correr per strade, boschi, campagne e torrenti, sudato fradicio e con le scarpe rotte. Mi ci voleva un po’ di pace, di tranquillità, di restare un po’ fermo a riflettere, a ragionare, a dare spazio al pensiero e seguire gli eventi con ferma e incrollabile logica. Sì, deve essere stato così che sono caduto esausto tra le braccia di Agatha e degli altri creatori del mystery misterioso e indecifrabile. E anche (forse) per un desiderio inconscio di ordine, di pulizia, di riscattare almeno nella pagina, con l’arresto del malfattore di turno, qualche marachella bricconcella che mi portavo dietro con un certo senso di colpa (così la coscienza era a posto).

Dopo (non tanto come fatto temporale ma come vero interesse) venne l’hard boiled con tutto l’armamentario che si portava appresso: squarci di città tumultuose, uffici scalcinati puzzolenti di fumo, facce grifagne, pupe rotonde e femmine fatali, inseguimenti, fughe, sparatorie da tutte le parti, whisky a go-go…Già whisky a go-go, e se non era whisky sarà stato bourbon e comunque un qualcosa diverso, magari nel nome, ma uguale nell’effetto: un bruciabudella da tracannare in un colpo solo senza farla tanto lunga.  E poi giù a scrivere, a creare, con lo scrittore e il personaggio a diventare un tutt’uno, l’alito infuocato dall’alcol e dalla sigaretta che restava miracolosamente appesa di sghimbescio e penzolante tra le labbra (non cadeva mai, figlia d’un cane!).

L’alcol, il maledetto alcol, che ritrovavo in ugual misura tra Re, Regine, Torri, Alfieri, Cavalli e pedoni. Questa volta come carburante (forse) per fantasticare tra le sessantaquattro caselle, per escogitare un trucco, una trappola, un Matto spietato. Talvolta per distruggersi, per portarsi fuori dal mondo…

E se da una parte c’erano i vari Poe, Chandler, Hammett, Bunker, Ellroy, Burke, Himes, King, Lovecraft, Thompson, Rice e via discorrendo (un mio articoletto su http://corpifreddi.blogspot.com/2010/07/vite-difficili-di-fabio-lotti.html); dall’altra esistevano i vari Tal, Alekhine, Bogoljubow, Blackburne, Marshall, Marco, Stahlberg, Kholmov, Lutikov, Vujovic e ancora via discorrendo. Grandi giocatori, grandi sbornie. Grandi sbornie, grandi giocatori (perché non mi sono mai ubriacato?). Gli aneddoti non mancano, ce ne sarebbero da raccontare per serate intere….Alekhine, campione del mondo dal 1927 al 1935 e dal 1937 al 1946,  perde un titolo per via delle sbevazzatone alcoliche. Più precisamente contro Max Euwe che non era un fulmine di guerra. Sembra che espletasse perfino qualche bisogno impellente sul pavimento del tavolo da gioco. Però con grande sforzo di volontà si disintossica e ritorna in forma come prima. Tal, invece, campione del mondo nel 1960, riesce a vincere, completamente sbronzo, un torneo in Canada. Si dice che venisse sorretto da due aiutanti, per arrivare a sedersi davanti alla scacchiera. Insuperabile giocatore d’attacco ebbe una salute travagliata per il fumo e la vodka. E due occhi che fulminavano. Ci fu addirittura un giocatore, Pal Benko, che all’inizio di una partita contro Tal si mise un paio di occhiali neri “per neutralizzare quello che, secondo lui, era il potere ipnotico del campione del mondo (“Aneddoti di scacchi” di Mario Leoncini, Messaggerie Scacchistiche 2003, pag. 62. Sempre dello stesso autore, per quanto riguarda curiosità varie sul mondo scacchistico, “A ladro!”, Caissa Italia 2005).

Culo e camicia furono la bottiglia di whisky e Blackburne, forte giocatore inglese dell’Ottocento, soprannominato “La morte nera” per il suo stile aggressivo e combinativo, tale da “uccidere” in poco tempo avversari di caratura inferiore. Se vedeva qualcosa di alcolico in giro non aveva scampo, fosse pure sul tavolo da gioco di un avversario. Una volta, persa una partita con Steinitz, altro grande Re degli scacchi, lo buttò giù dalla finestra. Fortuna che si era al pian terreno…(Per chi vuole saperne di più http://soloscacchi.altervista.org/?p=14625). E già che ci sono cito pure il mio “Partita a scacchi con il morto”, scritto in collaborazione con il sopraccitato Mario Leoncini, Prisma 2004 ( prisma@nexus.it ) , nel quale, oltre al gialletto con il commissario Marco Tanzini, di mia produzione, e “Meraviglie sulla scacchiera” dell’amico, potete trovare “Un giretto tra i Grandi del presente e del passato” che dovrebbe recarvi piacevole compagnia (e così ho fatto contento anche l’editore).

Ritorno all’hard boiled e riprendo un pezzo scritto qualche tempo fa per “Sherlock Magazine”. Da studentello più o meno sbarbato ero come una spugna. Assorbivo, pur facendo finta di sbattermene, per non finire nella spregevole schiera dei secchioni, qualsiasi cosa dicessero i miei professori. Quelli in cui avevo fiducia, naturalmente (ergo, in pochi). Alle superiori ce n’era uno che mi colpì con una specie di profezia rivelatasi, almeno nel mio caso, fondata. Egli asseriva, allora con  corale scetticismo e risatine varie che, andando avanti lungo il cammino della vita, il gusto dei lettori, in genere, cambia. Mentre in tenera età siamo presi dalla lettura nuda e cruda del testo, infischiandocene di qualsiasi apparato critico poi, seppur lentamente, avviene quasi il contrario e le note, le introduzioni ed i commenti risaltano in primo piano. Questo mi è capitato più volte, specialmente con i libri di storia. Diverso tempo fa la profezia si è di nuovo avverata. Sfogliando il bel libro “Chandler-Romanzi e racconti 1933-1942″, pubblicato dalla Mondadori nella splendida (e costosetta) collana de “I Meridiani” nel 2005, mi sono imbattuto nel saggio introduttivo di Stefano Tani e lì sono rimasto per un tempo all’incirca eguale (si fa per dire) a quello dedicato alla lettura dell’intero “corpus”. Segno inequivocabile che sto invecchiando o che sono già invecchiato. Almeno come lettore, secondo il noto vaticinio (pia illusione quella di essere invecchiato solo come lettore…).

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Le vite di Chandler e di Poe mi hanno sempre appassionato, come tutte le vite parecchio “sbandate” di tanti grandi scrittori ed artisti. Forse per una specie di contrasto con il grigio tran tran della mia. Inutile farne il riassunto. La conoscono tutti (quella di Chandler). Ciò che colpisce di più sono l’educazione vittoriana, la buona scuola, il matrimonio con una “mamma” più vecchia di lui e l’alcool. Da questo miscuglio (e da altro ancora) nasce lo scrittore. E dallo scrittore nasce il suo Doppio: quel Philip Marlowe che rappresenta il rovescio della medaglia dell’uomo, con il suo senso di giustizia e di “pulizia” morale. Nell’arte, (secondo quanto si apprende da “La semplice arte del delitto”), ci deve essere sempre un principio di redenzione che viene incarnato, quando si tratti del giallo realistico, dall’investigatore. Egli allora diventa l'”eroe” senza macchia e senza paura, il “tutto”. Ma questo eroe chandleriano, Philip Marlowe, appunto, si sdoppia nelle sue manifestazioni esterne brutali e ciniche perché “per una metà risponde a un codice dell’onore tutto britannico” e per l’altra metà “ostenta la crudezza colloquiale e il pratico individualismo dell’uomo americano”.

Anche la vita di Poe non è stata da meno nel colpire la mia fantasia. Soprattutto la sua fine. Il 27 settembre 1849 parte alla volta di New York, per sbrigare alcune faccende e ritornare velocemente a Richmond, in Virginia, dove vuole sposare la vedova Sarah Elmira Royster, un vecchio amore di gioventù. Ma fra il 28 settembre e il 3 ottobre sparisce. Viene ritrovato in un bar completamente fuori di testa con altri vestiti addosso e privo di soldi. Ricoverato d’urgenza in ospedale alterna momenti di delirio ad altri di una certa lucidità, ma non sa spiegare quello che gli è successo. Muore il 7 ottobre, e da allora inizia una ridda di insinuazioni e calunnie. Vi è più di una teoria, ma nulla di certo e documentato.

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Un “born writer”: Rufus King. Invenzioni, stile e rapporti con la letteratura di genere coeva

maggio 26th, 2010

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di Pietro De Palma

Rufus King (1893-1966) fu un romanziere molto attivo dalla fine degli anni ’20 alla fine degli anni ’50 inizio ’60, pur facendo tutto sommato vita ritirata: in vita, nulla di lui si sapeva molto, all’infuori del fatto che vivesse “nella parte rurale dello Stato di New York, che fosse single, e che ogni anno avesse problemi a causa della neve”[1], tant’è vero che si “fece una villa” a Miami; del resto proprio a Miami ambientò alcune delle sue storie.

Altra cosa che si sa è che avesse studiato a Yale[2], che nel 1916 si laureò e che si arruolò proprio in quell’anno per la Grande  Guerra e che dopo di essa lavorò per del tempo come operatore radio sulle navi

Oggi è molto poco conosciuto e i suoi romanzi vengono di rado pubblicati, ma al tempo fu molto noto: era un fine esponente di quella scuola di scrittori americani (anche J.D.Carr, Mignon Eberhart) che non volevano rinunciare alla scuola di giallo all’inglese, in favore invece della “scuola dei duri”, nata in ambiente americano.

In Italia è stato un autore, pubblicato parecchio negli anni ’30 – ’40 e ’50, e meno dopo: infatti, parecchi dei romanzi pubblicati soprattutto da Mondadori, risalgono a questi anni. Solo in pochissimi casi, altre case editrici si son cimentate in romanzi di Rufus King : tra queste, la Casa Editrice Martello con I Gialli del Veliero : “Il colombo della morte” (The Deadly Dove, 1945); la Italedit di Cremona che pubblicò “Intervallo Tragico”: questa pubblicazione, ricavabile tramite ricerca OPAC, è disponibile solo presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, ma non si ricava da alcun indizio, il suo titolo d’origine[3]; e i Gialli del Secolo di Gherardo Casini Editore.

I rapporti tra il mondo dell’editoria italiana e Rufus King, possono essere inquadrati dal carteggio assai interessante  tra un famoso traduttore degli anni trenta, Mario Benzing, e la casa Editrice Bemporad[4] .

Mario Benzing, fine traduttore, di origine tedesca, di moltissime opere di narrativa straniera in Italia, che aveva già intrattenuto rapporti con la Bemporad per altri romanzi, il 9 maggio 1933, scriveva:

“..Mi permetto d’informarvi che ho ottenuto l’esclusività per la traduzione delle opere  di Rufus King, giovane scrittore americano veramente eccezionale […]. Non soltanto incuriosisce, come Wallace e Van Dine, ma anche interessa: i suoi personaggi sono vivi, studiati, e i suoi casi anche psicologici, profondamente umani. Tutti casi circoscritti, a campo chiuso: uno yacht, una famiglia, una casa; e sono i casi più efficaci del genere e insieme anche i più difficili a congegnare con rispetto al buon senso, e a sostenere senza borra per trecento pagine. Si svolgono negli ambienti dell’aristocrazia americana, che il King conosce a fondo; e li risolve il detective Valcour, della polizia di Nuova York, uno specialista di quegli ambienti, che sa cercare indizi anche nei meandri delle anime. Per la cessione dei diritti di traduzione, Rufus King chiede soltanto L. 800  per  romanzo. La serie Valcour si compone di dieci romanzi, naturalmente indipendenti”.

Faccio notare due cose: la prima è che la serie completa con personaggio principale Valcour è di undici romanzi; la seconda, ancor più interessante, riguarda la data  riportata nel carteggio: infatti,  se non è sbagliata, dovremmo dedurne che Rufus King aveva in mente già la serie o gran parte di essa oppure l’aveva già scritta e attendeva la pubblicazione di ciascun romanzo: non potremmo infatti altrimenti comprendere come il Nostro parlasse di una serie di dieci romanzi con protagonista Valcour, (per bocca di Benzing) quando a quell’anno, 1933, di romanzi con protagonista il Tenente Valcour, ne erano usciti solo sei; gli altri quattro (Benzing parla di una serie di dieci) sarebbero usciti posteriormente: The Lesser-Antilles Case, 1934 – Profile of a Murder, 1935 – The Case of the Constant God, 1936 – Crime of Violence, 1937; infine, l’undicesimo, Murder Masks Miami, sarebbe uscito nel 1939.[5]  Quello che possiamo evincere è che Benzing volesse proporre alla Bemporad quello che per lui era un affare: Rufus King chiedeva allora solo 800 lire per ognuno dei suoi romanzi (compenso deducibile in caso di forfait, come affermato in altro passo) molto noti oltre oceano: si accontentava di poco o era solo molto modesto? Fatto sta che la Bemporad rifiutò il 12 maggio la proposta: “..Non conosciamo affatto questo autore. D’altronde abbiamo già una riserva di libri di questo genere per le nostre collezioni, fra gli altri tutti i più recenti volumi del celebre autore inglese Oppenheim”.

Allora Benzing rinnovò la proposta con altre argomentazioni: cercò di forzare l’assenso della controparte facendo riferimento al fatto che delle case editrici italiane fossero interessate alla pubblicazione dei romanzi di R.King: “..la Libri X sta per pubblicare Sangue a bordo di uno yacht..”; e il 20 maggio inviò, all’editore, l’edizione americana di Murder in the Willett family, mentre  il 1° giugno fu la volta di Valcour meets murder. La Bemporad rinviò ogni decisione al futuro pur riconoscendo la validità dei romanzi proposti, ma.. non se ne fece nulla , nonostante lo stesso traduttore ricordasse che altri editori erano in contatto e trattativa con gli agenti dello scrittore. In Mondadori, “Delitto sullo yacht” (trad. di Matilde Fanno) uscì nel 1936, e “L’agguato” (tit. orig. Valcour meets murder; trad. di Cesare Giardini), nel 1937; mentre “Delitto in casa Willett” (trad. di Carla Merlo) uscirà solo nel 1975.

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Le colpe dei padri (2982)

luglio 2nd, 2009

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C’è un prezzo da pagare per le colpe dei padri. Sempre, dovunque e comunque. Per Kit McKittrick, figlio di un ex poliziotto irlandese che ha fatto i soldi giocando sporco, quel prezzo è il disprezzo di un intero distretto di polizia di New York. Disprezzo che si tramuta in odio viscerale quando Kit apre un armadio zeppo di scheletri. La morte, ufficialmente per suicidio, di un coraggioso tenente del medesimo distretto fa precipitare la situazione. E a questo punto, è guerra senza quartiere su due fronti: il killer e la polizia. All’interno, i racconti “I cinque elementi” e “La pace del cuore” di Antonio Bellomi. 

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