Prima il mystery e poi l’hard boiled con quel che segue. Strano, mi pare proprio strano. Che un ragazzaccio di strada, un monellaccio strafottente (tutta apparenza eh…), un lettore appassionato di Tex Willer, e dunque di spazi aperti, cavalcate, cazzotti e sparatorie, di frenetico movimento, insomma, si fosse lasciato irretire e conquistare in seguito da spazi angusti, spesso chiusi, da vecchiette sferruzzanti e omettini grigi il cui unico movimento era dato dalle indaffarate cellule grigie. Strano, ma forse spiegabile, che già il movimento lo avevo fatto di mio a correr per strade, boschi, campagne e torrenti, sudato fradicio e con le scarpe rotte. Mi ci voleva un po’ di pace, di tranquillità, di restare un po’ fermo a riflettere, a ragionare, a dare spazio al pensiero e seguire gli eventi con ferma e incrollabile logica. Sì, deve essere stato così che sono caduto esausto tra le braccia di Agatha e degli altri creatori del mystery misterioso e indecifrabile. E anche (forse) per un desiderio inconscio di ordine, di pulizia, di riscattare almeno nella pagina, con l’arresto del malfattore di turno, qualche marachella bricconcella che mi portavo dietro con un certo senso di colpa (così la coscienza era a posto).
Dopo (non tanto come fatto temporale ma come vero interesse) venne l’hard boiled con tutto l’armamentario che si portava appresso: squarci di città tumultuose, uffici scalcinati puzzolenti di fumo, facce grifagne, pupe rotonde e femmine fatali, inseguimenti, fughe, sparatorie da tutte le parti, whisky a go-go…Già whisky a go-go, e se non era whisky sarà stato bourbon e comunque un qualcosa diverso, magari nel nome, ma uguale nell’effetto: un bruciabudella da tracannare in un colpo solo senza farla tanto lunga. E poi giù a scrivere, a creare, con lo scrittore e il personaggio a diventare un tutt’uno, l’alito infuocato dall’alcol e dalla sigaretta che restava miracolosamente appesa di sghimbescio e penzolante tra le labbra (non cadeva mai, figlia d’un cane!).
L’alcol, il maledetto alcol, che ritrovavo in ugual misura tra Re, Regine, Torri, Alfieri, Cavalli e pedoni. Questa volta come carburante (forse) per fantasticare tra le sessantaquattro caselle, per escogitare un trucco, una trappola, un Matto spietato. Talvolta per distruggersi, per portarsi fuori dal mondo…
E se da una parte c’erano i vari Poe, Chandler, Hammett, Bunker, Ellroy, Burke, Himes, King, Lovecraft, Thompson, Rice e via discorrendo (un mio articoletto su http://corpifreddi.blogspot.com/2010/07/vite-difficili-di-fabio-lotti.html); dall’altra esistevano i vari Tal, Alekhine, Bogoljubow, Blackburne, Marshall, Marco, Stahlberg, Kholmov, Lutikov, Vujovic e ancora via discorrendo. Grandi giocatori, grandi sbornie. Grandi sbornie, grandi giocatori (perché non mi sono mai ubriacato?). Gli aneddoti non mancano, ce ne sarebbero da raccontare per serate intere….Alekhine, campione del mondo dal 1927 al 1935 e dal 1937 al 1946, perde un titolo per via delle sbevazzatone alcoliche. Più precisamente contro Max Euwe che non era un fulmine di guerra. Sembra che espletasse perfino qualche bisogno impellente sul pavimento del tavolo da gioco. Però con grande sforzo di volontà si disintossica e ritorna in forma come prima. Tal, invece, campione del mondo nel 1960, riesce a vincere, completamente sbronzo, un torneo in Canada. Si dice che venisse sorretto da due aiutanti, per arrivare a sedersi davanti alla scacchiera. Insuperabile giocatore d’attacco ebbe una salute travagliata per il fumo e la vodka. E due occhi che fulminavano. Ci fu addirittura un giocatore, Pal Benko, che all’inizio di una partita contro Tal si mise un paio di occhiali neri “per neutralizzare quello che, secondo lui, era il potere ipnotico del campione del mondo (“Aneddoti di scacchi” di Mario Leoncini, Messaggerie Scacchistiche 2003, pag. 62. Sempre dello stesso autore, per quanto riguarda curiosità varie sul mondo scacchistico, “A ladro!”, Caissa Italia 2005).
Culo e camicia furono la bottiglia di whisky e Blackburne, forte giocatore inglese dell’Ottocento, soprannominato “La morte nera” per il suo stile aggressivo e combinativo, tale da “uccidere” in poco tempo avversari di caratura inferiore. Se vedeva qualcosa di alcolico in giro non aveva scampo, fosse pure sul tavolo da gioco di un avversario. Una volta, persa una partita con Steinitz, altro grande Re degli scacchi, lo buttò giù dalla finestra. Fortuna che si era al pian terreno…(Per chi vuole saperne di più http://soloscacchi.altervista.org/?p=14625). E già che ci sono cito pure il mio “Partita a scacchi con il morto”, scritto in collaborazione con il sopraccitato Mario Leoncini, Prisma 2004 ( prisma@nexus.it ) , nel quale, oltre al gialletto con il commissario Marco Tanzini, di mia produzione, e “Meraviglie sulla scacchiera” dell’amico, potete trovare “Un giretto tra i Grandi del presente e del passato” che dovrebbe recarvi piacevole compagnia (e così ho fatto contento anche l’editore).
Ritorno all’hard boiled e riprendo un pezzo scritto qualche tempo fa per “Sherlock Magazine”. Da studentello più o meno sbarbato ero come una spugna. Assorbivo, pur facendo finta di sbattermene, per non finire nella spregevole schiera dei secchioni, qualsiasi cosa dicessero i miei professori. Quelli in cui avevo fiducia, naturalmente (ergo, in pochi). Alle superiori ce n’era uno che mi colpì con una specie di profezia rivelatasi, almeno nel mio caso, fondata. Egli asseriva, allora con corale scetticismo e risatine varie che, andando avanti lungo il cammino della vita, il gusto dei lettori, in genere, cambia. Mentre in tenera età siamo presi dalla lettura nuda e cruda del testo, infischiandocene di qualsiasi apparato critico poi, seppur lentamente, avviene quasi il contrario e le note, le introduzioni ed i commenti risaltano in primo piano. Questo mi è capitato più volte, specialmente con i libri di storia. Diverso tempo fa la profezia si è di nuovo avverata. Sfogliando il bel libro “Chandler-Romanzi e racconti 1933-1942″, pubblicato dalla Mondadori nella splendida (e costosetta) collana de “I Meridiani” nel 2005, mi sono imbattuto nel saggio introduttivo di Stefano Tani e lì sono rimasto per un tempo all’incirca eguale (si fa per dire) a quello dedicato alla lettura dell’intero “corpus”. Segno inequivocabile che sto invecchiando o che sono già invecchiato. Almeno come lettore, secondo il noto vaticinio (pia illusione quella di essere invecchiato solo come lettore…).
Le vite di Chandler e di Poe mi hanno sempre appassionato, come tutte le vite parecchio “sbandate” di tanti grandi scrittori ed artisti. Forse per una specie di contrasto con il grigio tran tran della mia. Inutile farne il riassunto. La conoscono tutti (quella di Chandler). Ciò che colpisce di più sono l’educazione vittoriana, la buona scuola, il matrimonio con una “mamma” più vecchia di lui e l’alcool. Da questo miscuglio (e da altro ancora) nasce lo scrittore. E dallo scrittore nasce il suo Doppio: quel Philip Marlowe che rappresenta il rovescio della medaglia dell’uomo, con il suo senso di giustizia e di “pulizia” morale. Nell’arte, (secondo quanto si apprende da “La semplice arte del delitto”), ci deve essere sempre un principio di redenzione che viene incarnato, quando si tratti del giallo realistico, dall’investigatore. Egli allora diventa l'”eroe” senza macchia e senza paura, il “tutto”. Ma questo eroe chandleriano, Philip Marlowe, appunto, si sdoppia nelle sue manifestazioni esterne brutali e ciniche perché “per una metà risponde a un codice dell’onore tutto britannico” e per l’altra metà “ostenta la crudezza colloquiale e il pratico individualismo dell’uomo americano”.
Anche la vita di Poe non è stata da meno nel colpire la mia fantasia. Soprattutto la sua fine. Il 27 settembre 1849 parte alla volta di New York, per sbrigare alcune faccende e ritornare velocemente a Richmond, in Virginia, dove vuole sposare la vedova Sarah Elmira Royster, un vecchio amore di gioventù. Ma fra il 28 settembre e il 3 ottobre sparisce. Viene ritrovato in un bar completamente fuori di testa con altri vestiti addosso e privo di soldi. Ricoverato d’urgenza in ospedale alterna momenti di delirio ad altri di una certa lucidità, ma non sa spiegare quello che gli è successo. Muore il 7 ottobre, e da allora inizia una ridda di insinuazioni e calunnie. Vi è più di una teoria, ma nulla di certo e documentato.
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