POSTFAZIONE IDEALE A L’Ultima Tappa di Anthony Berkeley (Jumping Jenny, 1933 – titolo USA: Dead Mrs. Stratton: An Exploit of Mr. Roger Sheringham)

maggio 24th, 2013 by Moderatore

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Di Pietro De Palma

Mi son chiesto sempre perché mai questo romanzo in Italia presenti questo insolito titolo, invece che ad esempio “Il salto di Jenny”. Io penso la risposta vada trovata nell’anno nel quale la traduzione di questo romanzo fu approntata, il 1946. Erano gli anni del mitico Giro d’Italia, delle sfide Coppi-Bartali, per cui in definitiva il titolo può esser stato pensato guardando al Giro, che in quell’anno fu vinto da Gino Bartali, e al contempo all’ultimo capitolo del romanzo, “l’ultima tappa”, la tappa finale del romanzo.

Pubblicata nel 1946 nella collana “Il Romanzo per Tutti”, quindicinale del Corriere della Sera, la traduzione di Luciana Crepax fu poi ripresentata dai Classici del Giallo Mondadori, nel 1979 col numero 322, e negli scorsi giorni è riapparsa in edicola col numero 1322: è una pura coincidenza, una casualità che le due edizioni siano distanziate esattamente da mille uscite? In altre parole, dopo mille stampe e ristampe, si è sentito il dovere di dar di nuovo alle stampe questo straordinario romanzo. Che, va detto, nella traduzione di Luciana Crepax, fu “asciugato”, come mi disse tempo fa Mauro Boncompagni, perdendo una quarantina di pagine, pagina più pagina meno. Si tratta più che altro di digressioni o riflessioni o incisi o dialoghi condensati in forma di monologo discorsivo (come il dialogo citato più avanti del Cap. IX, che nella traduzione italiana è ridotto a pochi righi in forma di monologo, come se a parlare fosse sempre Sherringham) che non cambiano sostanzialmente la trama, tranne che in alcuni casi, di cui parleremo. E quindi è anche vero, come dice il buon Mauro, che “per chi non lo ha, è comunque un’occasione da non perdere” acquistare il romanzo in edicola.

Jumping Jenny, dicevamo nel titolo. Perché?

Incominciamo a dire che nella prima pagina del romanzo (versione italiana), Roger Sherringham esclama:

– Stevenson li avrebbe chiamati “jumping jacks”, pupazzi sospesi ad un elastico. Due “jumping jacks” e una “jumping jenny”, visto che c’è anche una donna. Vogliamo chiamarla così?”.

Ma, nella versione inglese, nella prima pagina, il dialogo è un po’ più esteso:

Very nice,” said Roger Sheringham.

It is rather charming, isn’t it?” agreed his host.

Two jumping jacks, I see, and one jumping jenny.”

Jumping jenny?”

Doesn’t Stevenson in Catriona call them jumping jacks? And I suppose the feminine would be jumping jenny.” (dall’edizione U.S.A., Dead Mrs. Stratton: An Exploit of Mr. Roger Sheringham).

Quindi veniamo a sapere che ne parla Robert Louis Stevenson nel suo Catriona. Ma nell’edizione italiana non ve n’è traccia.

Il riferimento, per il lettore italiano, è al capitolo III del romanzo di Stevenson, “I go to Pilrig”:

“…Here I got a fresh direction for Pilrig, my destination; and a little beyond, on the wayside, came by a gibbet and two men hanged in chains. They were dipped in tar, as the manner is; the wind span them, the chains clattered, and the birds hung about the uncanny jumping-jacks and cried”.

Il riferimento è chiaro: Stevenson parla di due tizi appesi ad una forca, incatenati e incatramati, che vengono sballottati dal vento, che fa sferragliare le loro catene. I due impiccati sembrano dei jumping-jacks.

Jumping Jack, in inglese, è termine che si usa per indicare il pupazzo, “la marionetta”: ma siccome il primo in inglese è detto “Puppet”, direi che il termine anche per questo si applica più a marionetta, che, a distanza del pupazzo, è formata di tante parti articolate fra loro che, mediante fili, vien fatta muovere.

Per traslazione, un corpo inanimato sospeso ad una corda e fatto ballare dal vento, può, in modo macabro, essere assimilato ad una marionetta.

Sherringham, però, usa anche il termine “Jumping Jenny”. Questo può dirsi un neologismo inventato da Berkeley, e non era stato già usato da altri, a lui precedenti.

E’ sicuramente un termine non presentato a caso da Berkeley, ma fortemente allusivo, come tanti altri qui. Nel suo caso, se volessi analizzare l’etimologia del nome, dovrei dire che Jenny è una derivazione di Eugene. Eugene a sua volta deriva dal greco Ευγενιος (Eugenios) che a sua volta deriva dalla parola composta greca ευγενης (eugenes) , formata dall’unione delle parole ευ (bene) e γενης (nascita). Se volessimo ancora andare indietro, γενης deriva da γίγνομαι, verbo greco antico che significa anche “nascere”. In sostanza, Anthony Berkeley, secondo me, avrebbe fatto dare il nome di Jumping Jenny, al pupazzo appeso con le fattezze di donna, perché Jenny, in inglese, è forma femminile di Eugene. Il fatto interessante è che anche la moglie di David Stratton, la vittima, ha un nome, Ena, che è una forma femminile di Eugene, ed entrambi i diminutivi significano anche “ben nato”, well born.

Ecco perché il pupazzo viene chiamato proprio Jenny, Jumping Jenny: perché ha la stessa origine del nome di Ena Stratton. E si badi bene: il nome viene assegnato al pupazzo, ben prima che il fatto delittuoso avvenga.

E’ come se Ena sia stata in quel momento predestinata a morire. E Berkeley abbia detto, tramite il suo detective, che Ena “morirà”.

Potrei parlare di predestinazione, ma..non credo si tratti precisamente di quello. Io sono sicuro invece, che questo romanzo di Berkeley è uno di quei romanzi concepiti come un puro gioco intellettuale, al pari del Cluedo, senza apparentemente pretendere null’altro. E come in tutti i giochi, Berkeley fornisce delle piste, vere e false.

Prima dell’inizio del primo capitolo, nel romanzo originale c’è una introduzione alla figura di Roger Sherringham, che manca nell’edizione italiana, e che è una sorta di cronaca aggiornata al romanzo in oggetto, facendo riferimento ad alcuni casi precedenti dell’investigatore:

CONCERNING ROGER SHERINGHAM

ROGER SHERINGHAM was born in 1891, in a small English provincial town near London where his father practised as a doctor; Roger therefore grew up in a familiar atmosphere of drugs and medical talk. He was an only child, and was educated in the usual English way for the sons of professional men; that is to say, he went first to a local day school, then at the age of ten as a boarder to a preparatory school, in Surrey; then at fourteen he won a small scholarship at one of the ancient smaller public schools which despise Eton and Harrow just as thoroughly as Eton and Harrow ignore them; and finally, in 1910, he went up to Merton College, Oxford, where he failed to win a scholarship. At Oxford he read classics and history, and took a second class in each, but distinguished himself more conspicuously by winning his blue in his last year for golf; he played rugby football for his college, but did not shine at it, and he lazed most of his summer terms away in a punt on the Cherwell. He was just able to take his degree before the war shut Oxford down like an extinguisher.

Roger served from 1914 to 1918 in a sound line regiment, was wounded twice, not very seriously, and though recommended twice for the Military Cross and once for the D.S.O. was awarded nothing, which privately annoyed him a good deal.

After the war he spent a couple of years trying to find out what nature had intended him to do in life; and it was only after spasmodic interludes as a schoolmaster, in business, and even as a chicken farmer, that by the merest chance he bought some pens, some ink, and some paper, and at enormous speed dashed off a novel. To his extreme surprise the novel jumped straight into the best – selling ranks both in England and America, and Roger had found his vocation. He exchanged his pens for a typewriter, engaged a secretary, and got down to it. He was always careful to treat his writing as a business and nothing else. Privately he had quite a poor opinion of his own books, combined with a horror of ever becoming like some of the people with whom his new work brought him into contact: authors who take their own work with such deadly seriousness, talk about it all the time, and consider themselves geniuses beside whom Wells and Kipling and Sinclair Lewis are just amateurs. For this reason he was always careful to keep his hobbies well in the front of his mind; and his chief hobby was criminology, which appealed not only to his sense of the dramatic but to his feeling for character.

It had never occurred to him that he himself might have any gifts as a detective, though a love of puzzles of all kinds had been handed down to him by his father; so that when on a visit to a country house called Layton Court in 1924 his host was discovered one morning dead in his library, in circumstances pointing to suicide, it did not occur to Roger at once to make any investigations on his own account. It was only when certain points struck him as curious that his inquisitive nature asserted itself. The same thing happened at a town called Wychford, which was in a ferment over the arrest of the French wife of one of its leading citizens on a charge of poisoning her husband. The woman and her husband were both complete strangers to him, but Roger on the evidence in the newspapers decided that she was innocent, and really more for his own gratification than anything else set out to prove it. This case brought him the recognition of Scotland Yard and a certain amount of publicity; with the result that his hobby developed and he was soon in a position to take an active part in any case which interested him.

Just as Roger – the – novelist had determined to avoid becoming like the worse specimens of that profession, so Roger – the – detective was anxious not to resemble the usual pompous and irritating detective of fiction – or rather, one should say, of the fiction at the time when he began his career, for the fashion in detectives has since altered considerably. He knew that he could never pose as one of the hatchet – faced, tight – lipped, hawk – eyed lot, while his natural loquaciousness would prevent him from ever being inscrutable. As a result he went perhaps too far to the other extreme and erred on the side of breeziness.

In matters of detection Roger Sheringham knows his own limitations. He recognizes that although argument and logical deduction from fact are not beyond him, his faculty for deduction from character is a bigger asset to him; and he knows quite well that he is not infallible. He has, in point of fact, very often been quite wrong. But that never deters him from trying again. For the rest, he has unbounded confidence in himself and is never afraid of taking grave decisions, and often quite illegal ones, when he thinks that pure justice can be served better in this way than by twelve possibly stupid jurymen. Many people like him enormously, and many people are irritated by him beyond endurance; he is quite indifferent to both. Possibly he is a good deal too pleased with himself, but he does not mind that either. Give him his three chief interests in life, and he is perfectly happy – criminology, human nature, and good beer.”

Innanzitutto si parla di una festa, sul tema dei delitti celebri, organizzata in onore di Roger Sherringham, investigatore dilettante arcinoto, conoscente di Ronald Stratton, scrittore di romanzi polizieschi, e amico del di lui fratello, David: nel corso di essa, i vari invitati impersoneranno vittime o assassini celebri.

Ronald Stratton, il padrone di casa, sta per sposarsi con Agatha Lefroy ma il loro matrimonio è osteggiato aspramente dalla cognata di Ronald, Ena, moglie di David, per ragioni squisitamente economiche: il figlio della coppia è il figlioccio di Ronald, e, fallito il matrimonio con Margot, risposandosi con Agatha, Ronald potrebbe cambiare il testamento a favore della nuova moglie, estromettendo il figlioccio e per converso il fratello e la cognata dall’usufrutto della rendita. Ena minaccia di rivelare chissà quali nefandezze sul conto di Agatha pur di far fallire il matrimonio di Ronald, essendo già riuscita nel passato a rovinare quello con Margot, avendole propinato uno scherzo di pessimo gusto.

Roger si occupa dei festoni e degli emblemi della festa: confeziona dei pupazzi, due con fattezze maschili ed una femminile che appende per il collo ad una improvvisata forca, su un terrazzino: un motivo macabro ma a tema.

A pagina 22 della edizione italiana (Anthony Berkeley, “L’Ultima Tappa”, Jumping Jenny, 1933 – traduz. Luciana Crepax ), c’è una lista dei vari personaggi:

Ronald e David Stratton : I due principi rinchiusi da Riccardo III nella Torre di Londra

Ena Stratton (moglie di David) : Carlotte Corday

Celia Stratton (sorella di David e Ronald) : Lady Macbeth

Margot Stratton (ex moglie di Ronald) ????

Mike Armstrong (il suo nuovo compagno) ????

Dott. Chalmers : l’assassino che non è stato ancora scoperto

Lucy Chalmers : Lucrezia Borgia

Dott. Mitchell : Jack lo Sventratore

La Sig.ra Mitchell : Maria Tarnowska

Osbert Williamson : Landru

Lillian Williamson : Little Steve

Agatha Lefroy (promessa sposa di Ronald) : la Marchesa di Brinvilliers

Colin Nicolson : Gilles de Rais ovvero Barbablù.

Chi più conosciuto, chi meno, tutti impersonano allegramente i loro personaggi fittizi:Mitchell, medico, impersona Jack lo Sventratore: chi meglio di lui potrebbe impersonarlo? Entrambi usano il bisturi! Mitchell con orgoglio mostra a Sherringham le mani sporche di rosso:

“..Questo è sangue” esclama con orgoglio (pag.14).

Vari personaggi animano la serata. Tra i meno conosciuti c’è “il piccolo Steve”, un bambino che aveva ammazzato il nonno perché gli voleva tagliare i capelli (brrr..)

Curioso è il personaggio impersonato da Chalmers, il medico di famiglia:

Io sono..l’assassino che non è stato ancora scoperto. In omaggio alla teoria che il mondo ne è pieno, anche nel campo medico purtroppo” (pag.14).

La cosa strana è che nell’edizione originale, capitolo II “Not a Nice Lady”, questa lista è diversa quasi in tutto:

Roger’s list of his fellow guests and hosts ran as follows:

Ronald Stratton …….. (Prince in Tower}

David Stratton ……..( – ditto – )

Ena (Mrs. David) Stratton (Mrs. Pearcey)

Celia Stratton ………… (Mary Blandy)

Margot (ex – Mrs. Ronald) Stratton ?

Mike Armstrong ?

Dr. Chalmers … (Undiscovered Murderer)

Mrs. Chalmers ……… (Mrs. Maybrick)

Dr. Mitchell ……….. (Jack the Ripper)

Mrs. Mitchell …….. (Madeleine Smith)

Mr. Williamson ……….. (Dr. Crippen)

Mrs. Williamson ……… (Miss Le Neve)

Mrs. Lefroy …. (Marquise de Brinvilliers)

Colin Nicolson …….. (William Palmer)

La ragione di questo cambiamento? La sola possibile cui io possa pensare è che, siccome gran parte di questi personaggi erano sconosciuti in Italia, la Crepax li abbia sostituiti con altri personaggi storici, connessi al tema della festa in maschera, che il pubblico italiano potesse riconoscere. Tanto, chi mai sarebbe andato a controllare l’edizione originale? Io, ma 67 anni dopo!i

La festa decolla, ma a rovinare il tutto ci pensa Ena Stratton: fa di tutto per mettersi in mostra, atteggiandosi a vittima, desiderosa di morire perché incompresa. Tenta di sedurre tutti i maschi presenti, compreso Roger che la snobba, salvo poi presentare in giro la versione che sia stata lei la vittima. La sua condotta è motivo di chiacchiere e di imbarazzo per il marito che sopporta chissà da quanto tempo una situazione veramente estrema: accusa persino la moglie del dott. Mitchell di essere l’amante del marito. Insomma ben presto si capisce che sta accadendo qualcosa di strano: Ena ormai persa dalla voglia di accentrare su di sé l’attenzione degli altri, prima si attacca alla trave del soffitto come una scimmia, poi costringe Ronald ad assecondarla nella Danza degli Apache. Ben presto la situazione diviene esplosiva tanto da costringere Ronald e il marito di Ena e suo fratello, Davis, a sbatterla fuori dalla sala, dopo che David e lei hanno avuto un aspro alterco.

Da quel momento di Ena si perdono le tracce: nessuno l’ha vista ritornare a casa, e David ha paura che alla fine i propositi tanto sbandierati quanto falsi di uccidersi di Ena si siano tradotti in realtà e per questo chiama la polizia. Nessuno sa che Ena ha chiacchierato fuori, sulla terrazza dove è posta la forca, con il dottor Chalmers, andato via prima della cacciata della donna e appena ritornato da una visita medica, che, trovandola fuori sulla veranda, finisce per sorbirsi il panegirico che lei ha propinato a quasi tutti gli invitati; quando Chalmers comincia a scocciarsi della situazione, e a voler finire quel monologo, lei porta il discorso ancora una volta su quel suicidio che ogni tanto paventa per attrarre l’attenzione. Per cui sale su una sedia, infila volontariamente la testa nel cappio, riservato al fantoccio femminile, che era stato fatto cadere dal vento, e, chiedendo a Chalmers come debba fare, stringe il nodo scorsoio:

– E’ facile vero Phil, basta dare un calcio alla sedia. Tanto non importerebbe a nessuno, né a David, né a Ronald. E forse neanche a te…Vuoi che mi impicchi? Vuoi ?

– Sì – rispose Chalmers e si allontanò. Con la sedia.” (pag. 48).

Focalizzo l’attenzione sulla sedia. Le sedie sulla terrazza saranno uno dei perni su cui si appunterà l’attenzione degli investigatori.

Intanto sappiamo che Chalmers ha portato via con sé la sedia su cui era salita Ena: quindi o ha tolto la sedia dopo che lei si era impiccata (e lui non ha fatto nulla per salvarla) oppure ha tolto la sedia da lei quando era viva, impiccandola. In ambedue i casi è però colpevole.

Abbiamo quindi l’assassino (vero o presunto), e l’abbiamo subito.

Tuttavia se Ena è morta impiccata, non è tuttavia la sua morte assimilabile all’impiccagione vera e propria: Ena quando è salita sulla sedia, il suo collo era all’altezza del cappio, per cui anche togliendole la sedia, Ena non è morta subito, ma lentamente. Nell’impiccagione classica, invece il cappio non è esattamente all’altezza del collo, in quanto la corda è molto più lunga: nel momento in cui la botola si apre, il condannato cade, la corda si stira e lo schiocco provoca la rottura delle vertebre cervicali e quindi la morte. E’ una morte rapida o quasi, ben diversa dal soffocamento.

Ena viene trovata da Williamson, quando oramai la cercano dappertutto, sulla terrazza. Sta camminando al buio e si ritrova un corpo che gli sbatte addosso, che non ha la leggerezza di un fantoccio: è Ena già fredda, con il viso contorto.

Avendo già l’assassino potremmo essere indotti che questa possa essere un fac-simile di “inverted story”.

Il fatto è che mentre noi sappiamo, e anche Chalmers sa (o presume di esserlo) di essere un assassino (per volontà sua o per non essersi opposto all’altrui volontà) e si comporta come se non avesse fatto nulla, perché in fin dei conti ha tolto di mezzo un ostacolo ( o non ha contrastato l’ostacolo) che si frapponeva alla vita normale sua, della moglie e di tante altre persone che erano state in un modo o nell’altro offese da Ena, la trama ben presto ci pone altre alternative: è davvero stato Chalmers l’assassino o il favoreggiatore del suicidio? Oppure lui non ha fatto nulla? Ena è davvero morta per mano sua oppure si è salvata ed è morta per altra mano? David forse, che era uscito fuori e quindi avrebbe avuto il tempo per uccidere le moglie? Oppure altri?

Innanzitutto, come ho detto precedentemente, le sedie giocano un ruolo non indifferente in questo romanzo: quando Williamson s’imbatte nel cadavere di Ena, la sedia non c’è, perché l’ha portata con sé Chalmers (anche se non si riesce proprio a capire perché l’abbia fatto, perché con la sedia sotto il capestro ed il corpo, il suicidio sarebbe stato acquisito come tale. Ma vabbè, il romanzo deve andare così altrimenti…). E quindi sarebbe automatica l’ipotesi di omicidio.

Siccome però Roger si fissa che la famosa telefonata di David fatta alla polizia, nonostante tutti i testimoni abbiano concordato sullo squilibrio emotivo e psichico di Ena, possa indirizzare le indagini e far sospettare un uxoricidio, mette una sedia sotto la forca.

A questo punto noi abbiamo due sospettati e due ipotesi diverse: il dottor Chalmers perché il lettore sa quello che non sanno gli altri (la colpevolezza diretta o indiretta di Chalmers) e nello stesso tempo dalle investigazioni Chalmers sarà il meno sospettato per via della menomazione alla spalla che non funziona più a causa di una ferita di guerra, e David Stratton (per via della sua assenza dalla sala dopo la defenestrazione di Ena e per la successiva telefonata).

Ben presto vengono introdotti altri due sospettabili e due altre ipotesi: se Ena è stata impiccata (lo prova l’assenza della sedia) prima di morire si sarà pure difesa.. Non era legata, e quindi l’assassino avrà pure qualche segno, un graffio magari, prodotto dalle unghie della donna!

Con questa ipotesi, Sherringham si mette a caccia e scopre che il suo amico, il giornalista Colin Nicols, ha un graffio superficiale proprio come quello che lui si sarebbe aspettato di osservare. E siamo a tre.

La quarta ipotesi, è quella, invece, proprio di Nichols, che, partendo dal tentativo di Sherringham di introdurre, nei ricordi dell’amico, la presenza della sedia sotto al capestro, pensa che sia un tentativo di evitare l’ipotesi dell’omicidio avvalorando nel contempo quella del suicidio. In altre parole Nicols finge in un primo tempo di confermare il falso ricordo di Sherringham, per poi ribaltare la tesi accusatoria: non è stato lui ad essere coinvolto nella morte di Ena (e il graffio è stato provocato da un bicchiere rotto i cui frammenti son stati spinti dove potevano non essere visti) bensì Roger, che ha tentato di confezionare una ipotesi falsa confidando sulla cattiva memoria dell’amico, il quale invece ricorda che la sedia non stava sotto la forca ma un po’ lontano, tanto che lui, camminando nel buio, vi era inciampato cadendo e sbucciandosi il ginocchio. E per trarre l’amico dai guai, fa una cosa che avrà ripercussioni sulla vicenda: pulisce la seduta e la spalliera della sedia, così da eliminare qualsiasi impronta dell’amico. E son quattro: quattro ipotesi per quattro possibili assassini. Anzi no, cinque: perché non si può eliminare l’ipotesi che Ena sia morta per volontà sua.

Del resto nel romanzo originale, i capitoli VIII, IX e X, vengono titolati rispettivamente : The Case Against Roger Sherringham; The Case Against Dr. Chalmers; The Case Against David Stratton. E’ anche da sottolineare come nel Cap. IX, se precedentemente il lettore era il solo a sapere quale fosse la verità, che cioè il Dr. Chalmers probabilmente avesse ucciso Ena Stratton, proprio in quel capitolo, l’ipotesi che il Dr. Chalmers sia un assassino, verrà sollevata da Sherringham all’amico Nicols nella sua completezza:

“…Colin, I’m pretty sure I know who did string up Ena Stratton.

– The dickens you do! Who?

– Dr. Philip Chalmers, – said Roger.

– Phil Chalmers? – Colin echoed incredulously. Oh, come now, Roger. He’s a grand fellow.

– It’s just because he’s a grand fellow that I suspect him – Roger retorted. Or partially. You see, he hasn’t any other motive.

– This is going a bit too deep for me. I don’t see this at all.

– Well, look at it this way, – Roger explained with energy. Chalmers is a very old friend of the Strattons. And he’s a doctor. That means that he’s in a better situation than anyone else to know exactly the position with regard to Ena Stratton: that she’d make the life of any man living with her a burden and a misery to him, and that there’s no hope at all of her ever getting any better. He knows, in fact, that Mrs. Stratton ought to be behind locked doors, but that she just can’t be.

– Now Chalmers’ particularly close friend among the Strattons is not Ronald, but David. And Chalmers, as you say, is a grand fellow. It’s impossible that Chalmers shouldn’t have been very worried and very upset by the fact that his great friend David is being led the hell of a life by a worthless woman. Obviously he must have been. You’re with me so far, I suppose?

– Yes, I’ll grant you all that. But what next?

– Well, briefly, that he saw an opportunity tonight of getting rid of her, and just took it.

– Ach!

– Wait a minute. I said, he saw an opportunity. I don’t for a moment suggest that Chalmers planned to get rid of Ena Stratton. He isn’t that type at all. He couldn’t plan a crime; certainly not a murder. But on the other hand he’s a man of character. If the opportunity presented itself, I can quite see him seizing it. And you must remember that he’d seen enough this evening to stir him up to a considerable pitch of indignation on David’s behalf. Mrs. Stratton did make an exhibition of herself, didn’t she? And as David’s friend, Chalmers was probably quite as embarrassed, altruistically, as David was on his own behalf. Perhaps a little more so. David seems to have become rather dulled to his wife’s performances in public. You needn’t look at me like that, Colin. It’s quite conceivable.

– Well, say it was. What was the opportunity, then? How did he do it?

– I imagine they must have been on the roof together. Perhaps they were leaning over the railing, and she was inflicting her remarkable introspections on him, as she seems to have done on most people this evening. She may even have been trying to get him to make love to her.

– Ah, come; steady now, Roger. Talk sense.

– Women have been known to do such a thing, – Roger said drily – Anyhow, let’s say she goaded him just beyond that limit of endurance which we call sanity. They were somewhere near the gallows. Chalmers sees that the figure of the woman has fallen onto the roof; the straw neck wasn’t strong enough to last. Instantly the idea jumps into his mind: put a woman where a woman was! He looks round. It’s all perfectly safe. No one else is likely to come up; it’s too cold. And once she’s safely strung up, it’s odds against anyone finding her for hours. Let him get out of the house on that call of his, and he’s safe. She’s been talking of suicide; it’s bound to be put down to suicide. And then David can live a life of his own again, and half a dozen other people will be able to sleep more easily at night. And no one will regret her. It will be the best minute’s work he ever did in his life.”

(Chapter IX, The Case Against Dr. Chalmers).

Tuttavia, subito dopo averla sollevata, la teoria che l’assassino possa essere Chalmers, riceverà un colpo devastante, che incrinerà anche le certezze del lettore:

– Never mind about your strong man. That’s how you say Chalmers did it, and he couldn’t have done it any other way?

-Yes. Well?

– He couldn’t, for instance, have done it without using both arms?

– No. What about it? – Oh . . . – said Roger, in a dying kind of voice.

– Exactly, – Colin cried – with tactless triumph.”

Fatto sta che da quel momento, da quando cioè la polizia sembra sempre più persuadersi che David c’entri nella morte della moglie, Roger fa di tutto per salvare l’amico e si comporta diversamente da come si era sempre comportato precedentemente: in altre parole qui il suo exploit non è acciuffare l’assassino cooperando con la polizia, ma salvare un possibile innocente dall’accusa di assassinio, inventando di sana pianta indizi che in qualche modo possano distogliere la polizia, casomai essa elimini per qualche ragione l’ipotesi, che tutti vorrebbero fosse confermata, del suicidio.

Così, quando la polizia trova assai strano che sulla sedia che sarebbe dovuta essere usata dalla vittima per suicidarsi, non ci siano neanche le sue impronte, l’ipotesi del suicidio comincia ad essere abbandonata. Allora Sherringham prima vorrebbe che Colin si accusasse di aver pulito la sedia, ma quello non ci sta (perché consegnerebbe alla polizia un nuovo sospettabile), e del resto lui si rifiuta perché perderebbe la faccia se si accusasse lui della cosa, lui che è un investigatore. E del resto non vorrebbe neanche spiegare perché abbia inserito una sedia che non c’era. E così convincono Agatha e Williamson ad inscenare una pantomima: lei avrebbe voluto sedersi su quella sedia quella notte, ma siccome essa era sporca di fuliggine, e l’abito era bianco, avrebbe pregato Williamson (che non ricorda nulla perché era alticcio quella sera) di pulire la sedia col fazzoletto evitando che il suo abito potesse sporcarsi. Il tutto per salvare David.

Tante cose ancora accadranno, prima che ci si convinca che Ena davvero si era suicidata.

O forse no?

Perché nell’ultimo rigo del romanzo, emerge ancora un’altra ipotesi ed un’altra persona che interviene, ancora a modificare, questa volta definitivamente, la situazione. Questa persona si desumerebbe aver agito allo stesso modo di Chalmers. Tocca al lettore dedurre cosa sia giusto cosa sbagliato e individuare il movente delle sue azioni.

Berkeley è un gran nome della letteratura poliziesca, conosciuto tra l’altro per aver scritto uno dei romanzi polizieschi più famosi in assoluto, “Il caso dei cioccolatini avvelenati”, The Poisoned Chocolates Case. A torto ritenuto uno scrittore classico, confezionatore di enigmi raffinati e leggeri, in realtà, secondo me, è stato uno dei grandi innovatori del genere poliziesco, al pari di Philip Macdonald.

E il romanzo Jumping Jenny , è sicuramente uno dei banchi di prova per riuscire a penetrare l’arte e la genialità d’impianto di Berkeley.

Come ho precedentemente detto, si tratta a parer mio di un’opera “apparentemente senza pretese”, di uno di quei romanzi degli anni ‘trenta che in America definiscono “passes the time” detective novel, romanzi polizieschi passatempo, utili quando si aspetta o si viaggia, che serva a distrarre senza appesantire troppo la mente. In realtà, il romanzo, è un’opera di sperimentazione di Berkeley.

Il romanzo è sostanzialmente diviso in due parti: una parte introduttiva, ed una parte successiva alla scoperta della vittima, senza che in questa sostanzialmente la trama evolva e si sviluppi, rimanendo bloccata in una stasi in cui, purtuttavia, le sorprese non mancano.

Innanzitutto i personaggi, come un gioco di società sono prestabiliti dall’inizio: la vittima, l’assassino, il detective, i personaggi a corollario, il falso colpevole. Tutti si prestano a recitare dei ruoli. Ma, ad un certo punto, si comincia ad avvertire un cambio di prospettiva, che spiazza completamente il lettore: si tratta di suicidio o di assassinio? La sottigliezza del ragionamento si basa sul fatto che la vittima abbia volontariamente inscenato un suicidio, vero o falso che sia, ma comunque volontariamente salendo sulla sedia e stringendo il cappio intorno al proprio collo: voleva solo ottenere la commiserazione del proprio interlocutore che però, scocciato e temendo che dei propri intimi amici potessero essere lesi dalla cattiveria della vittima, coglie la palla al balzo e toglie la sedia dai piedi della vittima, trasformando una pantomima in una morte non voluta. E se all’inizio pare che Chalmers sia l’assassino, e anche lui è felice di esserlo diventato, perché ha tolto di mezzo una donna inutile, non avvertendo alcun peso di coscienza. Si badi bene che però la leggerezza dell’azione delittuosa è data anche dal fatto che Chalmers si ritenga intoccabile, in quanto è l’unica persona che materialmente non avrebbe le forze per costringere una persona a quell’insano gesto, in virtù di una menomazione precedente della spalla che ne limita la forza.

Ma poi, Berkeley piano piano comincia ad insinuare altri scenari: ipotesi aleatorie, cioè che l’assassino sia Nicols oppure Sherringham (ma il lettore sa che non lo è), oppure più veritiere.

La seconda cosa che spiazza il lettore è l’attività dell’investigatore: da sempre rivolto a risolvere enigmi, a combattere il male, a individuare i colpevoli collaborando con la polizia, Roger Sherringham, in questo romanzo, è opposto alla polizia, facendo di tutto per salvare dalla forca un suo amico che egli ritiene colpevole, fabbricando false prove d’accordo con altre persone che possano servire a discolparlo, e non cercando in nessun modo di smascherare il vero assassino, ma lasciando impunito l’omicidio. E’ vero che in questo caso la vittima è una persona detestabile, un po’ come El-Farouk in The Lost Gallows di John Dickson Carr, però da qui a decolpevolizzare un omicidio..ce ne passa! Il fatto è che Berkeley è come se legittimi la morte di Ena, poiché la accomuna ad un topo, anzi un ratto; e schiacciare un ratto non è un omicidio. Per questo intitola il Capitolo VI, Odour of a Rat.

La terza cosa originale del romanzo concerne la figura dell’investigatore: in quegli anni, si era affermata soprattutto in America, presso alcuni autori (mi riferisco per esempio ai due cugini autori inventori del personaggio di Ellery Queen), la tendenza a indire una Sfida al Lettore, proponendo in sostanza un duello, una tenzone tra il lettore ed l’autore attraverso il suo personaggio principale. Ma anche quando questa sfida non c’è, implicitamente essa è sempre presente, perché il lettore tende in ogni caso a provare a dare la soluzione prima che la dia l’autore. Qui invece, accade dell’altro: in sostanza qui il detective non è in competizione con il lettore, ma il lettore è solo, in quanto il detective fa di tutto per ostacolare il lavoro della polizia costruendo delle false prove, ed evitare che l’assassino (almeno quello che lui ritiene tale) finisca sulla forca. E’ il lettore che alla fine deve provare il movente e trovare l’assassino, come ogni gioco di società: è lui l’unico detective vero in attività! E il titolo americano (Exploit of Roger Sherringham è da intendersi come un exploit al negativo non al positivo, mettendo sullo stesso piano l’abilità nell’acciuffare un colpevole e quella di salvarlo da un’accusa certa..

Infine il quarto elemento sorprendente: qualche rigo più in su ho citato apposta The Poisoned Chocolates Case, perché io credo che questo romanzo ne segua la stessa falsa riga. Infatti, come quel romanzo proponeva più ipotesi, affidate a differenti sedicenti investigatori, secondo un modus già esplicato prima da J.J.Connington in The Case with Nine Solutions, 1928 e poi da Ellery Queen in The Greek Coffin Mystery, così, anche in questo romanzo, riscontriamo la tendenza a proporre più ipotesi investigative tendenti a risolvere il delitto, determinandolo sostanzialmente in suicidio o omicidio: ben 6 diverse.

Tra i due simpatici assassini, il più riprovevole dal punto di vista etico è il secondo: apparentemente i due personaggi, Chalmers ed X sono sullo stesso piano, perché quando si sono avvicinati alla vittima non intendevano in assoluto terminarne l’esistenza, e quindi i due omicidi (il primo non concluso e il secondo concluso) potrebbero equivalere sul piano della condanna etica; in realtà, a parere mio, il secondo lo è di più, perchè tende a decolpevolizzarsi attribuendosi un’etica che non è la propria, a mascherare il suo segreto intendimento, il suo movente, che anche se in un primo tempo non emerge, successivamente ha la meglio sulla volontà di salvare Ena e nel contempo condannare altri, per esempio Chalmers, ed è fondamentalmente, a parer mio, il rancore personale, l’odio puro. Che però si apprezza, facendo un riepilogo mentale del rapporto tra l’assassina e la vittima.

Tacendo sul nome dell’assassino, inserisco le frasi finali del romanzo sottolineando che esso anche nell’edizione originale finisce col rivelare, all’ultimo rigo, secondo la tecnica che immortala i grandi scrittori del genere, l’identità dell’assassino, mantenendo la tensione narrativa e psicologica inalterata fino alla fine. Anzi, in questo caso particolare, possiamo notare un procedimento diverso: il fatto che la tensione viene smorzata da una prima rivelazione che riporta il lettore a considerare tutto e a dargli l’illusione che la parola “fine” possa essere messa alla storia, per poi essere nuovamente accesa e portata al climax senza un decadimento della tensione, come un fuoco pirotecnico congelato nel cielo sia nella manifestazione di luce e colore sia in quella sonora. Tuttavia la qualità dell’intuizione di Berkeley può essere apprezzata solo confrontando la traduzione italiana con l’originale:

– Amore, qualsiasi cosa abbia fatto, mi amerai lo stesso?

– Credo di sì.

– Non ne sei sicuro?

– Sì. Ne sono sicuro. Ma che cosa hai fatto?

– Ho tolto la sedia” (L’Ultima Tappa, Cap. XV : pag. 162).

Il dialogo è continuo, nella versione italiana, e nell’assenza di incisi, il lettore può anche immaginare che esso avvenga con una certa ansia da parte dell’assassina, a rivelare la sua scomoda verità al compagno, e può immaginarsi anche il tono del colloquio. Ma non può fare altro. E già così, la rivelazione finale lascia a bocca aperta.

Figurarsi poi quando si legge la versione in lingua inglese!

Berkeley originariamente inserisce un inciso, she said simply, che nella traduzione italiana manca, che è determinante per capire come il tono del colloquio sia senza forzature, e come la rivelazione finale finisca, invece, per essere esplosiva, perché l’assassina confessa “semplicemente”, “con semplicità”, come se fosse la cosa più banale del mondo, la verità finale:

Ma la forza dell’esplosione è anche accentuata da un ulteriore virtuosismo stilistico, anche questo assente nella traduzione italiana: mentre in quest’ultima, il paragrafo 2 del cap. XV si apre con “..Nello studio a pianterreno, Ronald e David Stratton sorseggiavano un bicchiere di sherry” (pag.157), nella versione inglese la scena è preceduta da un’altra in cui tre donne parlano fra loro e subito dopo, ecco un dialogo sommesso e dolce, di cui non si capisce il nesso, tra un uomo ed una donna, innamorati, che lascia un po’ frastornati, e ha il compito di introdurre la scena finale, senza però tradire alcunché :

In the drawing room Celia Stratton, Agatha Lefroy, and Lilian Williamson were twittering excitedly. – My dear, I could simply never face it again. It was too dreadful. Came over quite queer, I did, as soon as I sat down again.

– My dear, you were marvellous. My dear, was my hat really straight? It felt as if it had slipped all down over one ear.

– My dear, you looked perfectly all right. And so terribly composed. Anyhow, that’s where your hat ought to have been. My dear, did I sound the most ghastly idiot?

– My dear, you were wonderful. Did I …

– My dear, you . . .

– My dear . . .”.

Questo dialogo d’amore, sommesso, dolce, anche un po’ melenso, si trasformerà, amplificandosi nella forza, nella pagina finale del romanzo, in cui si capirà che nella coppia dei due innamorati, la donna è stata l’assassina di Ena Stratton:

– Darling, you would love me whatever you knew I’d done, wouldn’t you?

– I expect so.

– Sure you would?

– Positive. What did you do?

-..Well, darling – she said simply – I pulled the chair away again.”

(Jumping Jenny, Chapter XV, Last Glimpses)

Pietro De Palma

i I personaggi originari erano:

Mary Pearcey già Mary Eleanor Wheeler: uccise la moglie del suo amante, tentando di tagliare la testa con un coltello e schiacciando poi il cranio, ed il loro figlioletto di diciotto mesi. Fu impiccata nel 1890.

Mary Blandy fu una giovane che nel diciottesimo secolo, in Inghilterra, fu accusata e condannata per aver ucciso con una cosiddetta “pozione d’amore”, ma in realtà arsenico, suo padre che si opponeva alla sua unione con tal capitano William Henry Cranstoun, che risultava però sposato in Scozia. Fu impiccata nel 1752.

Florence Elizabeth Chandler sposata Maybrick, era una giovane donna americana che si sposò molto giovane con un uomo molto più vecchio di lei e ricco inglese. La coppia si trasferì a Londra. Un bel giorno il marito, che aveva un buon numero di amanti, morì. Fu addebitato alla moglie avvelenamento da arsenico, ma siccome le quantità trovate a casa sua erano minori di quanto avrebbe dovuto avere per ucciderlo, la condanna a morte fu tramutata in ergastolo, poi ridotto a quattordici anni di carcere. Morì in miseria in America. Lei sosteneva di aver acquistato l’arsenico usato per carte moschicide e di averle imbevute d’acqua al fine di ricavarne arsenico per cure di bellezza.

Madeleine Hmilton Smith fu una donna, appartenente alla classe agiata di Glasgow, in Scozia: la madre era figlio di un celebre architetto. Madeleine si innamorò di un vivaista, Pierre Emile L’Angelier e in breve diventò la sua amante. Quando i genitori di lei le trovarono un ottimo partito, lei decise di troncare la storia con l’amante ma senza successo, e allora pensò di disfarsene propinandogli arsenico. La morte dell’amante, tuttavia non fu mai provato che fosse stata causata direttamente dalla Smih, anche se era stato provato che lei si fosse procurata dell’arsenico. Per cui, fu assolta per insufficienza di prove. Morì in America.

Hawley Harvey Crippen , comunemente noto come il Dr. Crippen , era un medico omeopatico americano, impiccato a Londra nel 1910 , per l’omicidio della moglie, Henrietta Cora Crippen. 

Dopo la scomparsa della donna, fu visto convivere con altra donna, Ethel “Le Neve” Neave, che sfoggiava vestiti e gioielli della prima moglie. Dopo vari set di ricerche, dei resti umani furono trovati interrati sotto un pavimento nella casa, imbottiti di scopolamina.

Ethel “Le Neve” Neave, fu l’amante del Dottor Crippen. Fu arrestata anche lei assieme a lui su un transatlantico. Ma poi fu assolta per l’omicidio della moglie di Crippen. Emigrò in America dove morì.

William Palmer, noto anche come il Principe degli avvelenatori , era un medico inglese colpevole di pluri-omicidio in uno dei casi più noti del 19 ° secolo. Fu condannato per l’avvelenamento con stricnina del suo amico John Cook, e poi giustiziato mediante impiccagione, nel 1865: era stato anche sospettato di aver avvelenato il fratello, la suocera, nonché quattro dei suoi figli .

 

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24 Responses

  1. Ezio G.

    Grazie per l’ottima riflessione.

  2. piero

    Sono rimasto basito: Dario, ma volevi farmi una sorpresa, pubblicando oggi l’articolo, quando mi hai detto ieri sera che l’avresti pubblicato solo la settimana prossima? :-)

  3. Moderatore

    Si, sapevo che l’attesa ti avrebbe consumato 😉

  4. Fabio Lotti

    Li mortacci!… :-)
    E ho detto tutto.

  5. Antonino Fazio

    Bellissimo articolo, Piero! E lo scambio di battute fra te e Dario Geraci è una ciliegina sulla torta… :-)

  6. piero

    @Fabio :
    GRAZIE E RICAMBIO :-)

  7. Sergio (Tipping My Fedora)

    Saggio davvero affascinante Piero, sia nei dettagli (ho solo letto la versione Italiana)che nelle tue conclusioni – complimenti! Certo, adesso dovro’ trovare una edizione in originale.

  8. stefano

    Eccellente Piero, vorrà dire che anticiperò la lettura di uno dei pochi Berkeley che mi mancava! Purtroppo ne deduco che nella nuova versione dei classici non è nemmeno stato rinfrescato? (Non essendo a casa, nel dubbio, la nuova copia l’ho comprata comunque)

  9. piero

    No. E’ esattamente il testo del 1979.

  10. Massimo

    Ma sei sicuro che Jenny è derivato da Eugene? Mi suonava strano, e così ho sbirciato su internet, in fretta e furia. Risulta che Jenny era diminutivo medievale di Giovanna. Successivamente è stato considerato come derivato di Jennifer, che a sua volta viene da Ginevra. Tra l’altro, questo spiega il dialogo iniziale. Jumping Jack maschile; Jumping Jenny femminile.

  11. piero

    Devo dire che, a fronte del fatto che la traduzione è del 1946, ripresentata poi nel 1979 ed oggigiorno, e che una rinfrescatura non avrebbe poi fatto male, la traduttrice dell’epoca scelse tuttavia cosa non tradurre, e, pur qua e là mutando qualcosa, mantenne tuttavia intatta l’atmosfera. E anche il finale è proprio quello, non è stato tolto nulla: la grandezza di Berkeley ne esce non minimamente intaccata. Certo, reintegrando le 35-40 pagine avremmo avuto una traduzione più fruibile e più interessante, ma anche così il romanzo non è affatto male. Se poi uno vuole integrare le pagine mancanti, non resta che procurarsi l’originale, sempre beninteso che si traduca bene o quasi l’inglese, e leggere il resto.

  12. piero

    Jenny non deriva solo da Genevieve, come dici tu, ma anche da Eugenia, forma femminile di Eugene. In inglese i diminutivi non sempre derivano da un solo nome base: così per es. Janie non deriva solo da Jane (forma femminile di John) ma anche da Eugenia. E così via.

  13. Massimo

    D’accordo, Piero, ma a parte che questa derivazione non mi risulta (e questo è insignificante, non mi risultano tantissime cose), è altrettanto vero che il chiaro pendant Jumping Jack- Jumping Jane non mi sembra richieda l’elaborato processo di derivazione che tu descrivi. Meglio applicare il rasoio di Occam, almeno nella critica a un romanzo poliziesco. Ad ogni modo, saggio elaboratissimo! :-)

  14. piero

    Massimo, il mio saggio come ogni volta io faccio, contiene non solo delle cose acclamate ma anche delle mie personali ipotesi, delle supposizioni che, in quanto tali, potrebbero essere confermate o no. Tuttavia questo non sposta di un millimetro la validità della tesi sperimentale che io utilizzo e che riconoscerai è valida di per sè: cioè proporre sempre nuovi spunti di riflessione su temi che visti di per sè non avrebbero motivo di essere analizzati e che invece riservano sempre moltissime sorprese.

  15. piero

    E ancor di più..si può esser d’accordo o meno su quanto io affermo, però è altrettanto vero che se alcune cose come dici tu possono o non possono incontrare incontrare il favore di altri soggetti, è anche vero che dal mio personale punto di vista, è meglio analizzare dettagliatamente ogni cosa che riservare il rasoio di Occam alla critica poliziesca, che come ogni altro genere letterario è passibile di critiche positive o negative e osservazioni, comparazioni, speculazioni. Se come dici tu il rasoio di Occam agisse indisturbato, con tutti i se e i ma, i più grandi saggi del genere, che si basano purtuttavia, sempre, anche su dati soggettivi e quindi passibili anche di critica, non ci sarebbero.
    Il rasoio di Occam suggerisce di eliminare le ipotesi accessorie quando di per sè quelle esistenti sopperiscono di per sè alla conoscenza, ma anche questo processo metodologico è passibile di critica, perchè le tesi esistenti sono vere e quindi su tali basi, impostando il rasoio di Occam vengono eliminate quelle accessorie, fin quando altre ipotesi formulate non risultano essere più accettate di quelle precedenti. :-)

  16. Massimo

    Per carità, Pietro. Tutto è lecito in narrativa, l’importante, come spiegava dottamente Umberto Eco, è avere ben chiara la distinzione tra “interpretazione” del testo e “uso” del testo. :-)

  17. piero

    Il mio è “uso interpretativo” del testo. :-)

  18. piero

    Appena pubblicato sul mio blog, “La Morte Sa Leggere”, l’articolo su un romanzo di Hillary Waugh recentemente ripubblicato:

    http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2013/06/06/hillary-waugh-dormi-bene-amore-mio-i-mastini-n-15-polillo-ed.html

  19. stefano

    Ottimo anche l’articolo su Waugh, uno degli inventori del Police Procedural USA, senza il quale non ci sarebbero stati tantissimi autori (Ed McBain su tutti). Luca Conti definì la sua produzione parecchio diseguale e in tanti casi troppo burocratica, ma quel romanzo dovrebbe essere notevole.
    Per il resto, che dire..io preferisco di gran lunga ipotesi plausibili e anche azzardi a chi crede di sapere tutto e sfodera sentenze da prima elementare (di articoli decenti sul giallo ne leggo sempre meno, anche in rete). E per quanto mi riguarda Piero, rimani una delle pochissime fonti davvero autorevoli che sono sempre pronte a metterci la faccia.

  20. piero

    Grazie Stefano.
    Il fatto di esporsi in prima persona e di cercare di leggere metatestualmente porta anche a critiche che non come la tua sono positive. Ma che vuoi farci..questa è la vita.
    Ma almeno rivendico il fatto di creare degli articoli, non attaccando cose prese da internet, ma partendo sempre dal testo, chiedendo e cercando di rispondere sempre agli interrogativi che un testo tradotto lascia, presenti molte volte già in quello originale.
    Talora forse mi spingo al di là e leggo delle cose che altri possono non leggere, non lo nego, ma credo sia sempre meglio questo che non scrivere sempre le stesse cose scritte da altri, o attaccando pezzi da internet, o non esporsi mai in prima persona. E mi si può dire tutto quello che si vuole, ma che io scriva un articolo o un saggio non leggendo il testo, anche in inglese o francese, nessuno può dirmelo. Siccome so di metterci la faccia, prima di pubblicare un articolo lo limo e lo controllo più che posso.
    Del resto, come mi ha detto in privato Mauro Boncompagni avantieri, attaccare firmandosi con un un nickname non riconducibile ad un personaggio fisico, non è una cosa carina. IO sono riconoscibile, Fabio è riconoscibile, tu io so chi sei, Alessandro pure, Marco Piva (Killer Mantovano), Mauro è una garanzia, Luca si firmava con nome e cognome. L’avatar o nickname serve a garantire l’anonimato, ma quando si mena un fendente parlando di “interpretazione del testo” e “uso del testo”, buttando lì il giudizio, citando altro autore, l’impressione che se ne ricava è di un atto volontario, fatto per affossare, senza argomentare.
    Perchè poi, detto tra noi, una distinzione del genere esiste solo in ambito filologico: nella critica letteraria, sfido chiunque a dire che Nevins non abbia fatto lo stesso o il mio conoscente Remi Schultz, quando hanno scritto i loro saggi sui Queen. Hanno scritto delle cose estreme, inventato delle tesi, partendo sempre dai testi che sono stati tutti letti a fondo. Poi uno può essere o no d’accordo con loro. E non si può neanche dire che Nevins sia uno che non si può discutere perchè ha vinto l’Edgar. Il fatto di aver vinto l’Edgar non significa nulla, perchè anche le tesi di Remi sono interessantissimne (e non ha vinto l’Edgar). Sono sempre interpretazioni testuali.
    Affermo pur sempre che chiunque che legga l’articolo può dire quello che ne pensi, in positivo o negativo, basta che argomenti. Io accetto quello che Massimo ha detto riguardo a Jumping Jenny e Jumping Jack, ma non invece quando dice “e tantissime altre” e non ne parla.
    No, questo proprio non lo posso accettare. Le argomentazioni usate come pugnali senza una disquisizione approfondita, non le accetto.
    E si badi bene:
    IO NON SONO COME QUELLI CHE PUBBLICANO ARTICOLI E GLI VENGONO PAGATI.
    DAGLI ARTICOLI CHE PUBBLICO E HO PUBBLICATO SINORA IN QUESTO SITO, CON BENEPLACITO E STIMA DI DARIO GERACI E IMMAGINO DELL’ EDITOR, NON HO PRESO MAI UNA LIRA (MENO DI UN CENTESIMO). LI PUBBLICO, PERCHè SONO ONORATO DI PUBBLICARLI SUL SITO DI UNA IMPORTANTISSIMA CASA EDITRICE ITALIANA CHE HA TRAMANDATO L’AMORE DEI GIALLI IN ITALIA DALLA FINE DEGLI ANNI 20 AD OGGI.
    E DEVO DIRE CON ORGOGLIO CHE ALTROVE, IN INGHILTERRA, IN AMERICA, E OGGI HO SAPUTO ANCHE IN FRANCIA (L’HO SAPUTO PRIVATAMENTE DA STEFANO CHE MI HA INDICATO IL FORUM FRANCESE, IMPORTANTISSIMO PER LE CAMERE CHIUSE, DOVE INTERVIENE ANCHE LACOURBE) SANNO DELL’ESISTENZA DI QUESTO BLOG PERCHè SONO VENUTI A LEGGERE I MIEI ARTICOLI SULLE CAMERE CHIUSE E SU CARR E QUEEN. E LA COSA MI HA RIEMPITO DI ORGOGLIO, PER AVER DATO UN MIO PICCOLO CONTRIBUTO ALLA CAUSA DEI GIALLI MONDADORI.
    Saluti a tutti.

  21. piero

    Non ne ho mai parlato perchè in fondo non mi piace vantarmi, come sa Mauro Boncompagni, Stefano, Marco, Fabio etc..
    Ne ho parlato perchè l’argomentazione mi ha ordinato di farne menzione, perchè in giro quando si parla di me e della Mondadori e della Polillo, cui non appartengo ma di cui parlo nei miei articoli, si parla bene.

    Darò gli indirizzi internet se volete..

  22. Massimo

    Scusate, ma temo che stiate parlando di me, e devo essermi spiegato male. Ho l’abitudine di pensare così quando qualcuno mi fraintende, e non che siano gli altri a non capire. Tanto per cominciare, io non mi nascondo dietro ad alcun nick: mi chiamo Massimo Pietroselli. Secondo, mi sembra di aver espresso con educazione una perplessità riguardo un fatto specifico. Terzo, non ho mai detto che nel tuo articolo ci siano tantissime altre cose che non tornano, per carità di Dio!
    Ho soltanto detto (penso sia questa la frase incriminata): “questa derivazione non mi risulta (e questo è insignificante, non mi risultano tantissime cose)”. Ora, intendevo soltanto dire che il fatto che la derivazione non mi risulti non significa che non esista, poiché non mi risultano tantissime cose, cioè non sono l’Enciclopedia Treccani. Quindi rilassati, Piero, non intendevo darti alcuna pugnalata con argomentazioni non approfondite.
    Mi scuso infine se invece quel che scrivo mi viene pagato.

  23. piero

    Stefano, Waugh è un vero Maestro, credimi, sottostimato, ma grande!
    I suoi romanzi hanno delle caratteristiche comuni, soprattutto sono dei Procedural, forse i più grandi.
    E i suoi finali sono il più delle volte tali da lasciare a bocca aperta. In Italia parecchio fu pubblicato da Mondadori negli anni ’60-’70 e ’80, e da Garzanti, la Serie Gialla delle tre scimmiette, nella seconda metà degli anni ’50. Da allora poche ristampe, due o tre negli scorsi anni, tra cui segnalo il magnifico romanzo “Pure Poison” inserito da Mauro nello Speciale dell’anno scorso “Veleni Letali”.

  24. piero

    Pubblicata sul mio blog italiano, la 1^parte di un lungo articolo sulla raccolta realizzata e presentata da Anthony Boucher, La-queentessenza-di-Ellery-Queen-

    http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2013/06/19/anthony-boucher-la-queentessenza-di-ellery-queen-i-migliori.html

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