La prima produzione di John Dickson Carr: i quattro racconti di Bencolin

settembre 7th, 2009 by Moderatore

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Cari lettori del Giallo Mondadori, oggi vogliamo proporvi un saggio breve di Pietro De Palma sulle prime opere del celeberrimo “giallsta” Statunitense.

Prima di augurarVi un buon proseguimento di lettura, cogliamo l’occasione per augurare un buon compleanno a Piero, storico lettore, collezionista e da oggi “contribuente” del Giallo.

Dario PM Geraci

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Tra le forme letterarie, i racconti hanno sempre pagato dei tributi ai romanzi: rappresentano quasi una produzione minore, delle storie da scrivere senza impegnarsi particolarmente, in momenti di rilassatezza. Almeno questa è la percezione che ne ha il lettore; invece..

Invece il racconto è un genere importante quanto il romanzo, non dirò di più o di meno: ne ha una forma più concentrata, possedendo anche delle caratteristiche ricorrenti in quest’ultimo: se vi è una presentazione dei personaggi e della situazione in oggetto, esse devono essere stringate, e lo sviluppo non molto esteso, per necessità di condensazione in un numero di pagine più ristretto; ma tutto il resto..è lo stesso. Anzi se vogliamo, il racconto ha la sua buona parte di difficoltà, perché se nel romanzo taluni “allungano il brodo” con descrizioni e narrazioni che poi nulla hanno a che fare con il nocciolo della storia, nel racconto ciò non è possibile: si devono avere idee chiare e si deve condurre la storia con un filo logico e una tensione, che dalla prima pagina all’ultima, conduca il lettore a godere della fine, senza sotterfugi, escamotages, rallentamenti, perdite di tempo (e di pagine).

Se nella letteratura “impegnata” il racconto gode di una fortuna inferiore al romanzo, in quella “di genere” e nel nostro caso in quella “gialla”, possiamo dire che, almeno non in Italia, il Racconto Giallo ha avuto una fortuna non inferiore a quella del Romanzo: perché tuttavia in Italia il racconto non abbia avuto pari fortuna, questo è altro discorso. La situazione però è questa: nel mondo sia anglosassone, che l’ha fatta da padrone, e in quello più chiuso, del giallo franco-belga, i racconti hanno avuto la loro buona fetta di pubblico e di popolarità. Ancor oggi, molti autori contemporanei scrivono racconti, ma nel passato, si sono avuti addirittura autori specializzati, per es. Edward D. Hoch, autore anche di romanzi di fantascienza e di apocrifi queeniani, ma soprattutto di oltre..900 racconti, divisi in più serie, tra cui quelli che raccontano di Camere Chiuse e delitti impossibili, sono i preponderanti. Ma anche Joseph Commings si è riservata la sua buona fetta di fama, con le storie del senatore Banner. La messe maggiore, tuttavia, si è avuta con i grandi autori sia di Giallo classico che di Hard Boiled: Ross MacDonald, Ellery Queen, C.Daly King, Agatha Christie, Dashiell Hammett, e moltissimi altri, tra cui John Dickson Carr.; e proprio di Carr parleremo, a proposito dei suoi primi quattro racconti con Henri Bencolin.

Potrebbe sembrare un discorso molto relativo, affrontare la tematica dei racconti carriani puntando l’attenzione solo su 4 racconti, quando la produzione totale ne conta oltre trenta. Ma questo breve saggio non si propone di esaurire la tematica complessiva del racconto in Carr, ma solo di creare un’inquadratura, che possa essere recepita da qualunque lettore, circa la produzione carriana avente come soggetto principale Henri Bencolin.

Innanzitutto i racconti in Carr hanno una loro parte di importanza notevole: molto spesso servono da sperimentazione di forme, e non è neanche improprio affermare che se è vero che alcuni romanzi sono assoluti capolavori, per es. “Le Tre Bare” o “L’Automa” o  “Il terrore che mormora”, o “La Corte delle Streghe”, è altrettanto vero che anche parecchi dei suoi racconti e radiodrammi sono altrettanto dei capolavori (per es. The Crime in Nobody’s Room, in cui un delitto viene compiuto in un appartamento al secondo piano che non dovrebbe esistere; o il classico Radiodramma, Cabin B-13 con due sposi Richard e Anne Brewster che salgono sul piroscafo Maurevania per la Luna di Miele, e poi nel prosieguo della storia scompare una cabina, la B-13, e lo sposo con essa).Molto spesso, si può dirlo senza aver timore di esser presi in castagna, i racconti in Carr non sono altro che dei romanzi ( molto spesso con camere chiuse, delitti impossibili, sparizioni inspiegabili, atmosfere sinistre)..concentrati. Ecco perché è anche importanti esaminarli e cercare di trovare al loro interno, elementi che ne giustifichino l’esistenza ed il giudizio entusiastico della critica e dei lettori, cosa non frequente. Carr riunì i suoi racconti in alcune serie: in una di esse, “The Door to Doom and Other Detections”(tradotta in Italia con il titolo “La Porta sull’Abisso”,Altri Misteri, Mondadori, 1986; e successivamente ne Il Supergiallo Mondadori n.21, del 2001), si trovano 4 racconti emblematici, appartenenti alla primissima produzione carriana, con protagonista Henri Bencolin.Parliamo del periodo in cui Carr risente del periodo di soggiorno in Francia: la Francia e Parigi in particolare, sono luoghi immaginari, giunti fino a noi immutati, con il loro carico di mistero e di fascino, così come lui ne aveva letto nei romanzi di cappa e spada di cui si era nutrito ancora giovane. E’ la Parigi di Honoré de Balzac, di Stendhal, di Victor Hugo, non quella di Zola., coi suoi contrasti sociali, con i suoi processi. Protagonista è Bencolin, il primo dei personaggi carriani, interprete di cinque romanzi.Nell’ordine i racconti sono:

The Shadow of the Goat (1926), The Fourth Suspect (gennaio 1927), The Ends of Justice (maggio 1927), The Murder in Number Four (1928); e un romanzo breve: Grand Guignol (1929). Per quanto riguarda il romanzo breve, T.J.Yoshi, riporta nel suo “John Dickson Carr: A Critical Study”, che “Grand Guignol”, fu un romanzo breve, scritto e ultimato da Carr a Parigi; e che lo stesso, una volta tornato Carr in patria, fu pubblicato sullo stesso giornale che aveva pubblicato gli altri racconti, “The Haverfordian”, tra il marzo e l’aprile del 1929: Grand Guignol non fu altro che la prima versione semplificata di “It Walks By Night”, Il Mostro del Plenilunio. Nello stesso 1929 Carr provvide a sviluppare il suo primo romanzo con Bencolin (proprio utilizzando Grand Guignol), pubblicandolo nel 1930. E se ne “Il Mostro del Plenilunio”, troviamo la descrizione di Bencolin, che tutti ricordiamo: “..Studiai il viso, che era girato di tre quarti: le palpebre abbassate, quell’espressione scherzosa e indulgente, le sopracciglia arcuate, gli occhi scuri dalla luce velata. Dal naso sottile e aquilino partivano due rughe profonde che scendevano fino ai lati della bocca; un debole sorriso gli errava fra i baffi appena accennati e il pizzo nero…i capelli neri di Bencolin cominciavano a striarsi di grigio. Sopra il bianco della cravatta e della camicia, la sua testa sembrava un dipinto del Rinascimento esposto alla luce fioca della lampada …parlando, si limitava ad alzare le spalle e non alzava mai il tono di voce. …i ciuffi aguzzi dei suoi capelli, il pizzetto appuntito, gli occhi corrugati e il sorriso ambiguo erano noti..”, proprio nel romanzo breve precedente, troviamo la definizione più incisiva e fulminante del suo personaggio, una vera e propria fotografia: “..Mephistopheles smoking a cigar( trad. Mefistofele che fuma un sigaro)”.

Ma perché proprio Mefistofele? Ci viene aiuto uno dei quattro racconti, il secondo per la precisione, The Fourth Suspect. Quando Bencolin è alla presenza di Villon (allora è lui il Capo della Polizia), Carr ne inquadra la figura: “..Il piccolo investigatore…aveva occhi gentili e piuttosto strabici..la figura curva, la barba nera, il gran naso aquilino, l’alone di fumo di sigari che lo accompagnava sempre..un cappello a cilindro inclinato sulla testa in modo spavaldo e il mantello che gli ondeggiava dietro”. Insomma un uomo  non bello, ma un personaggio tuttavia, quello che noi diremmo “un tipo”. Ma Carr, precedentemente a questa descrizione, ci aveva detto, quasi a preparare la descrizione del fisico non certamente da Adone, che Bencolin era un uomo: “..troppo sentimentale..lo si poteva veder sognare all’Opera…o ad offrire vino ad amici bohemienne”, e che molto spesso finiva a elargire soldi a pezzenti che lo conquistavano con le loro storie false.

Notiamo allora il perché il personaggio abbia affascinato e conquistato i lettori (e le lettrici): non è bello, ma possiede un fascino tenebroso, in virtù dell’abbigliamento, nonostante sia un sentimentale, sia colto (va ad assistere alla rappresentazione di Opere Liriche e a sognare), socievole e generoso con chi sia squattrinato o abbia (o dica di avere) dei guai. Il suo appellativo di Mefistofele, è sicuramente connesso alla sua professione, a come egli si sappia trasformare in un giudice spietato; ma anche indubitabilmente al suo aspetto. Interessante è quanto dice Gil Bethune in “Deadly Hall”, penultimo romanzo pubblicato da Carr: “..Momentarily Uncle Gil had looked less like amiable,beardless Mephistopheles than like a Grand Inquisitor preparing to order torture( trad.: “Per un momento lo zio Gil, più che un amichevole e sbarbato Mefistofele, era sembrato un Grande Inquisitore che si accinge a ordinare la tortura”, J.D.Carr – La Casa – I Classici del Giallo Mondadori n.887, traduz. Maria Rosaria Schisano, pag.209)”.A chi si riferisce? T.J.Yoshi crede che l’accenno a Mefistofele, sia legato alla figura di Bencolin, e che il parallelismo sia intenzionale visto che il tempo in cui si svolge la storia del romanzo precede di alcuni giorni il primo grande caso di Bencolin ricordato ne Il Mostro del Plenilunio: infatti la data che viene inquadrata all’inizio di  Deadly Hall,”La Casa”, è il 19 aprile 1927, mentre la storia di It Walks By Night, “Il Mostro del Plenilunio”, comincia il 23 aprile 1927. Ma Yoshi si ferma qui; invece io direi molto di più. Innanzitutto, l’aspetto: si fa riferimento alla sua espressione mefistofelica (pag.166-260) anzi alle sue sopracciglia (pagg.163-208). L’espressione riferita all’aspetto di Gilbert Bethune: “per quanto i capelli neri fossero appena striati di grigio(pag.120)” è molto simile, troppo secondo me per non essere una citazione o un rimando, a quella contenuta nella descrizione famosa dell’aspetto di Bencolin, contenuta in It Walks By Night, “Il Mostro del Plenilunio” (Classici del Giallo Mondadori Serie Oro, n.196, pag.12, traduz. Rossana De Michele): “…i capelli neri di Bencolin cominciavano a striarsi di grigio”: è come se Carr avesse voluto tributare un omaggio ai suoi primi anni, a Bencolin, che è stato il simbolo dei suoi primi successi. Entrambi i cognomi dei due personaggi cominciano con “Be”, entrambi svolgono due professioni sostanzialmente simili (Giudice Istruttore e Capo della Polizia, Bencolin; Procuratore Distrettuale, Bethune); entrambi fumano sigari; entrambi hanno sopracciglia mefistofeliche, cioè arcuate;entrambi  i romanzi sono ambientati a distanza di alcuni giorni nel 1927; entrambi hanno un giovane che è come se fungesse da assistente (il Watson della situazione): Jeff Marle per Bencolin, Jeffrey Caldwell detto “Jeff”, per Bethune, e guarda caso come si vede due Jeff. Troppe coincidenze per non essere invece delle citazioni volute. Carr voleva dire che  Deadly Hall è come un altro romanzo di Bencolin (situazioni, tempi, e modalità diverse)?

E a Bencolin vien sempre da pensare, per l’ultimo suo romanzo, Hungry Goblin:infatti Carr, proprio in The Lost Gallows, Carr nel breve volgere di poche pagine, come dice assai giustamente Don D’Ammassa, aveva citato dei termini che poi sarebbero divenuti  i titoli di suoi lavori : “…Carr mentions three terms that would later figure in titles of novels – Punch and Judy, the Red Widow, and the Hungry Goblin”.   Ma come cambia la rappresentazione e la figura di Bencolin, con la descrizione che ci viene data in It Walks By Night, rispetto a quella precedente, offerta ne “Il Quarto Sospetto”! Lì lo vediamo elegante (qui,  non lo è per nulla), affettato, distinto (qui non lo è), persona di un certo tenore anche sociale: Bencolin non è più uno dei tanti 86 Prefetti, ma è “Juge d’Instruction”: giudice istruttore, consigliere di Corte Suprema e capo della polizia.E’ cambiato: non è più così “umano”, è diventato più duro, anche spietato, giudice implacabile con i malfattori: è la vita che l’ha reso tale!

Possiamo anche vedere qui una differenza sostanziale con le altre figure di investigatori: Fell è un personaggio che non ha nulla a che spartire con la polizia, mentre Merrivale pur facendo parte del controspionaggio militare (ne è addirittura a capo), non è figura assimilabile ad un poliziotto; mentre Bencolin, lo è. E se proprio “Il Mostro del Plenilunio” rappresenta la grande entrata di Carr, sul palcoscenico del delitto nel genere del romanzo, con quel virtuosismo delle messinscene e delle caratterizzazioni da Grand Guignol, tipico dei primi romanzi soprattutto del ciclo bencoliniano, è altrettanto importante sottolineare la straordinaria importanza dei primissimi racconti, quelli con Bencolin giovane, in quanto racchiudono già tutti i caratteri e le caratterizzazioni del Carr successivo, quello dei grandi successi. In particolare, possiamo senza dubbio affermare che molte delle idee che verranno più successivamente sviluppate nei grandi romanzi, si trovano già qui espletate.

Il primo in ordine di tempo dei racconti è The Shadow of the Goat,  “L’Ombra del Caprone”: fu scritto nel novembre-dicembre 1926. Vi troviamo per la prima volta espressi, non uno ma tre dei caratteri più ricorrenti e meglio identificativi di Carr : un uomo scompare da una stanza ermeticamente chiusa, diremmo “vanishing into thin air”; un delitto in una Camera Chiusa, un tentato omicidio impossibile, con un’altra sparizione non spiegabile, se non con eventi soprannaturali. C’è la scommessa, che prelude alla sparizione impossibile, cosa che verrà ripresa in “The Three Coffins” (tra Grimaud e Pierre Fley), ma c’è anche la prima sparizione: un uomo, Cyril Merton, rinchiuso in una stanza con le pareti di pietra, senz’altre uscite che la porta, sorvegliata a vista, che..svanisce senza lasciare traccia, allo scoccare del tempo previsto; l’omicidio di un altro in una casa dove a detta di tutti non è entrato nessuno, e vi sono due persone della servitù che giurano che è proprio quello che è accaduto (e che non giurano il falso): l’unica persona che avrebbe potuto essere lì, Garrick, il nipote della vittima,non poteva starci perché impegnata a sorvegliare la porta della camera dove c’era stata la sparizione di Merton: due fatti incontestabilmente concatenati, ma inspiegabili. La cosa importante è che Jules Fragneau viene ucciso. Infine, il nipote di Fragneau viene assalito da qualcuno che lo ferisce, e chi lo ferisce è, per asserzione di Bencolin, un morto. Tre fatti inspiegabili, risolti con ferrea logica: ne risulta una soluzione assolutamente spettacolare.

Un’altra caratteristica di questo primo e sorprendente racconto con Bencolin, che molti ritengono un autentico capolavoro (ed è facile confermarlo, leggendolo), è l’atmosfera soprannaturale che si respira, altra caratteristica dell’opera carriana (fantasmi, demoni, sparizioni impossibili, atmosfere lugubri), che ci potrebbe ricordare un inglese doc specializzato in quello, cioè Montagne Rhodes James, ma che invece è propria, a detta di Douglas G. Greene, studioso che ha pubblicato la biografia di Carr, di certi lavori di Anne KatherineGreen : per esempio, egli ha sostenuto esserci persino delle somiglianze del plot nel cariano racconto “The Gentleman From Paris” ed il racconto della Green, The Leavenworth Case (1878), come pure tra il radiodramma “Cabin B-13” e la “Room n.3” del 1909 della Green. E non sarà difficile ricordare l’atmosfera de “Le tre bare”, quando prima Grimaud e i suoi amici discorrono davanti al fuoco, e poi nel racconto lugubre e sinistro si inserisce lo sconosciuto Pierre Fley, che minaccia Grimaud di far intervenire al suo posto suo fratello. Tanto che alcuni si spingono ad affermare che proprio questo racconto “contiene i germi di due dei suoi migliori romanzi successivi, “Le tre Bare” e “Nove risposte per nove problemi”.

E notiamo un altro particolare, che ricorre anche negli altri 3: Bencolin non è solo. Assieme a lui vi è un altro protagonista , che nei romanzi scompare, e il cui posto viene assunto, almeno per i primi quattro da Jeff Marle: ossia Sir John Landevorne. Sì, proprio quel Sir John Landervorne che comparirà di nuovo e per l’ultima volta, in quello che è unanimemente considerato il Capolavoro della prima produzione romanzesca del ciclo bencoliniano, ossia The Lost Gallows.  Che Sherlock Holmes sia diventato il prototipo e l’archetipo di tutti i detective da allora in poi, lo testimonia tutta la serie di apocrifi sherlockiani, che tuttora vengono sfornati, e i romanzi che da allora investono tutto il mercato editoriale europeo e poi americano, con detectives che hanno in Holmes il loro padre putativo: non è il caso qui di esaminare i vari Shiel o Meirs,  ma indubbiamente ciascuno di essi inventa un personaggio che in qualcosa richiama Holmes. E’ d’altronde il destino di chi inventa un genere: vedersi copiato o comunque preso ad esempio da chi intenda ripercorrere anche “parva fortuna” la sua parabola.Secondo me, la maggiore invenzione di Conan Doyle, quella che misura il suo genio, è d’altra parte non tanto aver inventato l’archetipo dell’investigatore moderno, che analizza qualsiasi fatto misurandolo con la forza della sua logica, ma avergli contrapposto in un dualismo d’effetto, un compagno meno acuto, ma che gli è indispensabile molto spesso per ricavare la soluzione: è proprio Watson talora a dare il la al suo compagno con delle osservazioni intuitive, non meditate, che finirebbero lì per lì se non avessero chi invece riesce a trasformarle miracolisticamente in soluzioni soddisfacenti. Del resto l’invenzione del protagonista di serie A e di quello di serie B che insieme formano una coppia è vecchia come il mondo: Mickey Mouse/Goofy, Don Chisciotte/Sancho Panza, Zagor/Chico. Se non ci fosse stato Watson o un’altra spalla, sicuramente Holmes non avrebbe avuto il successo planetario: Watson rappresenta l’anima di Holmes, la sua coscienza, l’umanità burbera di un medico, contrapposta alla intelligenza superlativa, asettica e talora irritante del detective che tutto sa. E’ da questo momento che le coppie di investigatori si ricorderanno con maggior benevolenza di quanto non accada per l’investigatore solitario: non a caso i Gialli più belli o comunque quelli in cui Poirot emerge con maggior forza son quelli in cui gli è contrapposto il romantico e ingenuo Capitano Hastings che ad un certo punto scompare (forse anche perché stava togliendo troppo a Poirot). Ma il caso Poirot/Hastings non è isolato e parecchi autori di polizieschi nel primo periodo d’oro del giallo hanno inventato una spalla al loro detective .A questa sfilza di autori appartiene anche John Dickson Carr,ma non tanto con la coppia Henri Bencolin/John Landevorne, quanto con quella Bencolin/Marle: già da It Walks By Night, “Il mostro del plenilunio”, Landevorne (che compare in tutti i primi 4 racconti con Bencolin) scompare, lasciando il posto a Jeff Marle, il narratore, discepolo di Bencolin: un personaggio quindi posto in una posizione diversa dal primo, più subalterna.

John Landevorne appare per l’ultima volta in The Lost Gallows, “L’Arte di Uccidere” (per non apparire più).Il fatto che Carr, sin dal primo dei romanzi pubblicati con Bencolin, decida di farlo fuori, testimonia per me il nuovo status professionale e sociale raggiunto da Bencolin: “Juge d’Instruction”, mentre Landevorne, è in sostanza, ora, un ex-funzionario di Scotland Yard, mentre prima: “…era forse l’unico uomo in città che avesse l’autorità di dare ordini a Scotland Jard: ed Henri Bencolin poteva essere soltanto uno degli ottantasei prefetti di polizia della Francia, ma non era certo il meno importante di essi ” (The Shadow of the Goat, “L’Ombra del Caprone”, Supergiallo n.21, pag. 181); se si vede bene, Jeff Marle, che riveste la parte del Watson della situazione, non è in posizione paritetica, quale è quella che sostanzialmente si osserva per Landevorne nei primi quattro racconti (anche se poi il vetro deus ex-machina è sempre Bencolin) e per The Lost Gallows, ma pur essendo un conoscente di Bencolin (Bencolin ed il fratello di Jeff erano amici) è comunque in una posizione più defilata e comunque non condivide il centro del palcoscenico. E’ lui, il celebre poliziotto francese sempre al centro delle luci, è lui che detta l’azione investigatrice, non c’è nessuno che possa provare a sottrargli le luci della ribalta . E nel tempo stesso è come se Bencolin distruggendo l’immagine del suo compagno di una volta, si sbarazzasse di una parte di sé, distruggesse parte del suo passato, una parte di coscienza che non vuol più considerare; però già con  The Four False Weapons ,“4 Armi False”, Jeff Marle scompare ( ma come dice giustamente Don d’Ammassa, parlando di Poison in Jest “Piazza pulita”, romanzo del 1932: “..It is, essentially, a Bencolin novel without Bencolin…Jeff Marle is the narrator” ) e gli altri due principi dell’investigazione carriana, Fell e Merrivale, anche se hanno occasionali compagni di avventura, non ne avranno mai uno fisso: un po’ quello che accade con Poirot dopo la parentesi Hastings: è come se alcuni romanzieri del genere giallo, avessero tentato si svincolarsi dalla pesante eredità di Doyle.

Tuttavia, per spiegare quanto accade in The Lost Gallows, Carr dice che Landevorne era cambiato avendo perso un figlio tragicamente (si era impiccato): giacchè in nessuno dei quattro racconti della giovinezza di Bencolin, si allude a possibili date cui si collegano, ossia non viene mai specificato l’arco temporale, da quello che dice Carr in The Lost Gallows si potrebbe dedurre che siano stati collocati in un tempo che si pone prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Questo spiegherebbe anche come dalla fine del quarto racconto, al primo romanzo, anche se in effetti nel tempo effettivo, non passano che pochi mesi, in quello immaginario, potremmo dire letterario, romanzesco, passino più di dieci anni: in cui Bencolin passa dalla carica di Prefetto, uno dei tanti, a quella di Capo della Polizia, consigliere di corte suprema, e giudice istruttore, spodestando quel Villon che compare in due dei quattro racconti, nel secondo e nel quarto.

Bencolin, a differenza di Merrivale e di Fell, lavora meglio quando ha un avversario che si contrappone: in quello tradisce la sua origina romantica: è come un cavaliere che reagisce all’affronto subito, e reagisce tanto più veementemente quanto chi gli si oppone è grande e astuto quanto lui. In The Fourth Suspect ,“Il Quarto sospetto”, è il Conte Villon , il suo superiore, che chiede il suo aiuto pur contestando il fatto che Bencolin possa trovare il bandolo della matassa ( lo detesta, per la straordinaria capacità di Bencolin di avere tutto sotto controllo e di risolvere le matasse più complesse): la spia LaGarde è stata uccisa, sotto gli occhi dello stesso Villon e dell’agente del servizio segreto Riordan, che hanno sentito lo sparo : hanno sfondato la porta,senza aver visto nessuno  uscire da una stanza ermeticamente chiusa, alla cui unica uscita erano presenti loro due. LaGarde è vestito ancora alla maniera del ballo in maschera che si è tenuto in casa sua, e sulla faccia vi è una maschera: su quel viso vi sono tre fori: due per gli occhi (nella maschera) ed il terzo nella fronte, da cui esce un rivolo di sangue sotto i loro occhi. Ancora una volta una Camera chiusa assolutamente straordinaria, ancora una volta risolta con maestria. Anche questo secondo racconto semina dei germi che verranno sviluppati altrove: la vittima è vestita in maniera bizzarra (Hogenauer, in The Magic Lantern Murders, “Delitto da Burattini”, è trovato morto, col sorriso distorto in un ghigno per avvelenamento da stricnina, e un Fez turco in testa; Penderel col cilindro, un lungo cappotto, un abito da sera vetusto,una barba finta nera che già sul mento gli si è staccata, un pugnale persiano piantato nel petto ed “il manuale di ricette casalinghe della Signora Eltridge”, in The Arabian Nights Murder, “Delitti da Mille ed una Notte”; Dwight Stanhope con indosso una maschera d’oro, come ne The Gilded Man, “Il Lago d’Oro” ) con la parrucca bianca, gli arti a sghimbescio, una maschera sul viso, ed una sigaretta fumante in mano; vi è ancora un assassino “vanished into thin air”, e un assassinio molto simile al secondo di Le tre bare: anche lì viene assassinato un uomo, e tre testimoni (due passanti ed un poliziotto) giurano che nessuno si è avvicinato alla vittima: conclusione? Delitto impossibile.

L’assassinio avviene sotto i loro occhi, ma entrambi giurano che nessuno era lì esclusa ovviamente la vittima. Anche nel successivo Peacock Feather Murders (1937, anche The Ten Teacups) “Il Mistero delle penne di pavone”, Vance Keating che “sta portando un cappello che non è ovviamente della sua taglia” è entrato in un appartamento sull’attico, chiudendosi la porta alle spalle, mentre sia la finestra che l’unica porta, sono sorvegliate all’esterno dalla polizia: viene assassinato con due proiettili, e la pistola, un antico revolver, viene trovata sul pavimento, e dell’assassino nessuna traccia .Per di più, questo, il racconto, è il primo dei suoi scritti in cui elabora il tema dell’oggetto (l’arma, ma anche altro), che scompare dopo un delitto, in una Camera Chiusa: il seme gettato qui, farà frutti altrove: innanzitutto l’arma che scompare in Till Death Do Us Part, “Un Colpo di Fucile”; parecche mazzette di banconote, svanite in una stanza, in Hot Money, “Denaro che scotta” (racconto compreso nella raccolta The Department of Queer Complaints); il testamento che scompare da una stanza chiusa, la cui finestra ha pesanti inferriate e la porta è sorvegliata, in The Gentleman from Paris, “Il Gentiluomo di Parigi” (racconto tratto dalla raccolta “The Third Bullet and Other Stories”).Il terzo racconto è ancor più singolare. The End of Justice “La fine della Giustizia”, ripropone il tema della sfida che Bencolin accetta: questa volta è un uomo che rispetta, Follewes, che ha speso tutti i suoi soldi in opere di beneficenza, ad essere stato condannato a morte, per l’omicidio del cugino Darworth. L’omicidio presenta ancora una Camera Chiusa: Fellowes è stato visto entrare a casa della vittima, bussare alla porta, annunciarsi, essere fatto entrare, rinchiudere la porta. Poi..viene trovato il fratello della vittima, noto spiritista, ammanettato mai e piedi ad una poltrona e con un coltello piantato nel cuore: nella stanza ovviamente non c’è nessuno! Fellowes pare che sia scomparso, volatilizzato: tanto più che l’unica finestra è aperta sì, ma sul bordo del davanzale e sul prato sottostante c’è una candida distesa di neve, senza neanche una impronta, immacolata e perfetta. Come avrà fatto il presunto omicida a fuggire, tanto più che non si è mosso di casa? Chi era l’assassino? Bencolin riuscirà anche in questo caso a risolvere il mistero, ma non riuscirà a salvare l’amico, che verrà impiccato ingiustamente, pochi minuti prima che venga scoperto l’assassino.

Questo racconto fornisce assieme al primo esaminato parecchie idee per “Le tre bare”. Inoltre il tema della distesa coperta di neve in cui non si vedono impronte oppure se ne vedono ma non appartengono alla vittima sarà ripetuto con infinite variazioni dallo stesso Carr ( e da altri suoi posteri): The Footprints in the Sky , “Un’Impronta in Cielo”, del 1940, racconto in cui Carr come al solito non si risparmia ed inventa una Camera Chiusa del genere più allargato, il prato coperto di neve, con una soluzione veramente da lasciare a bocca aperta; la distesa di neve di “Assassinio al Priorato” The White Priory Murders; la neve che vien giù e l’assenza di orme da parte dell’assassino di Grimaud in The Hollow Man (The Three Coffins), “Le Tre Bare”; c’è in Death and the Gilded Man “Il Lago d’Oro”;persino la variazione in cui al posto della neve c’è la sabbia: per es: The Witch of the Low Tide, “Un colpo di pistola”.

Un altro tema qui presente, quello del ventriloquismo, verrà puntualmente riproposto col prosieguo della carriera di scrittore di Carr: infatti nel 1935, nella serie con H.M. con la quale Carr si firma per ragioni editoriali con lo pseudonimo Carter Dickson, vedrà la luce il romanzo The Red Widow Murders, “I Delitti della Vedova Rossa”, che vede Il Grande Vecchio alle prese con una delle sue Camere Chiuse migliori e più intricate, in cui uno dei personaggi è ventriloquo.Tuttavia, il racconto a me sembra alquanto sbilanciato come soluzione: immaginare che Darworth trovato ammanettato alla poltrona, pur avvezzo a sedute spiritiche falsate, abbia avuto la forza, pur dopo che si sia incatenato le caviglie, di pugnalarsi al cuore, e dopo ammanettarsi, mi sembra una colossale spacconata. In verità più da Fell che da Bencolin: una di quelle arrampicate sugli specchi cui Carr si è sempre dedicato, allorquando il plot per qualche ragione gli sfuggiva di mano. Avrei potuto capire che la pugnalata se la fosse inferta nello stomaco e poi fosse morto dissanguato, ma..immaginare di colpirsi al cuore (e la morte è quasi istantanea) e poi avere la forza di ammanettarsi, rivelerebbe nella vittima non un uomo ma un semidio. Una cosa un po’ difficile a mandar giù.Infine c’è l’ultimo racconto, The Murder in Number Four, “Assassinio al numero quattro”.

E’ una Camera chiusa molto suggestiva: questa volta è in uno scompartimento di un treno. Mercier, contrabbandiere di diamanti, viene trovato strangolato in uno scompartimento, chiuso col catenaccio dal di dentro, e con una finestra, con uno spazio tale da non far passare neanche un nano, tale solo per prendere aria. La soluzione è ancora una volta suggestiva, e del resto l’unica ad essere possibile, se non si vuole ammettere il fatto che Mercier sia potuto essere strangolato da un fantasma. L’indizio fondamentale che porta Bencolin ad identificare l’assassino è un biglietto.

Tuttavia il racconto, anche se offre una soluzione spettacolare, è il meno originale dei quattro: ha infatti una filiazione diretta in The Big Bow Mystery di Israel Zangwill. E’ tuttavia da segnalare come in questo racconto, Carr esplori per la prima volta la tecnica della risoluzione di un problema, dissertando non tanto sulla tecnica della camera chiusa (cosa che in un certo senso c’era già stata in The Big Bow Mystery di I.Zangwill e che si afferma alla grande prima con The Three Coffins nel 1935( la famosa dissertazione su la Camera Chiusa); poi con  Death from a Top Hat, “Morte dal cappello a cilindro” di Clayton Rawson (1938) che la amplia; e infine una terza di Derek Smith in Whistle up the Devil (1953), “Un fischio al Diavolo”), ma su come il detective possa e debba lavorare per risolvere felicemente un caso poliziesco. Riporto la prima parte della dissertazione, tra Sir John Landevorne e Bencolin che nel corso del racconto, fieramente, dice : “..E io sono Bencolin, prefetto della Polizia in Parigi”; ometto la seconda parte perché si fa riferimento palese alla risoluzione del caso in questione (la traduzione è di Antonietta Maria Francavilla): “—Che bella scacchiera, vero? — osservò dopo un poco (è Bencolin che parla ora: n.d.r.)

—Una partita a scacchi può essere un’impresa terribile e affascinante quando bisogna giocarla a rovescio e con gli  occhi bendati. L’avversario comincia col re in posizione  di scacco e tenta di rimettere i pezzi nelle posizioni in cui si trovavano all’inizio. Ecco perché non si possono applicare regole o leggi matematiche al delitto. Il miglior  giocatore di scacchi è quello che riesce a visualizzare la scacchiera come lo sarà dopo la sua mossa. Il miglior investigatore è quello che riesce a visualizzare la scacchiera com’era stata prima che lui trovasse i pezzi disposti a casaccio. Deve possedere tanta immaginazione da intuire le occasioni che il criminale ha avuto, e da agire come il criminale avrebbe agito. E’ una grande, orrenda battaglia tra due immaginazioni opposte. Nessuno è più portato di un investigatore a fare un mucchio di pompose e macchinose chiacchiere su ragionamento, deduz­ione e logica. Troppo spesso dice “ragione” quando in realtà intende “immaginazione”. Io invece mi rifiuto di ammettere che una pedanteria da due soldi come la ragione venga confusa con una qualità assai più elevata.

Ma stia a sentire — obiettò sir John. Supponiamo di prendere a esempio il caso di stanotte. Lei ci ha fornito una ricostruzione del delitto, d’accordo, e forse lo ha fatto grazie all’immaginazione. Però, non ci ha spiegato come faceva a sapere che le cose erano andate proprio in quel modo. È stata la ragione a dirglielo, no? E comunque, come ha fatto a risolvere l’enigma dell’assassinio di Mercier?

Questo è  proprio un esempio di quanto cercavo di spiegarle. Se ne dicono tante dell’investigazione criminale che a volte un investigatore si chiede perché la gente creda che lui agisca in un certo modo. Gli scrittori di romanzi polizieschi vogliono che l’investigazione sia una scienza, sot­topongono le persone sospette alla “macchina della verità” e gli propinano test freudiani… dimenticando che un inno­cente è sempre nervoso e si comporta da colpevole assai più del criminale stesso, perfino a livello di sistema neurovege­tativo. Dimenticano che le loro macchine vengono usate da quella che è la meno obiettiva e la più irriducibile di tutte,.. la macchina umana. Quanto all’investigatore che si basa sulla psicologia, quello va a pescare il tipo d’uomo che può avere commesso il delitto, si aggira finché non trova il suo tizio e allora dice: “Ecco l’assassino” che le prove gli diano ragione o no. Col suo permesso, questo è il mio giudizio: tutte balle. Non esiste uomo incapace di commettere un de­litto in ogni circostanza; dire che un delitto audace è stato necessariamente commesso da una persona audace, equi­vale a dire che uno scrittore ubriacone non può scrivere che di bevande alcoliche, o che un pittore ateo non è in grado dì dipingere un quadro di soggetto religioso. Invece, spesso è il beone che scrive i migliori opuscoli in favore della tempe­ranza, è l’ateo che trova gli argomenti più convincenti per propagandare la religione”.Uno scritto che definisce una volta per tutte l’importanza di questi racconti, una vera summa di Bencolin, oltre che miniera di situazioni e di stratagemmi che Carr userà poi nel prosieguo della sua carriera di scrittore: tra le altre, mi piace ricordare qui, che proprio in The Lost Gallows, il romanzo che vede per l’ultima volta Landevorne assieme a Bencolin , che per certi versi è uno dei romanzi polizieschi più romantici di Carr, di un romanticismo molto cupo però, si evidenzia tutta la natura mefistofelica di Bencolin, più di quanto forse accada in It walks By Night, spietata e sardonica, cosa che nei quattro racconti forse non si rivela quasi mai; anzi, alla fine del capitolo 5 di The Ends of Justice, quando Bencolin chiede al vescovo Wolfe di ritardare il più possibile l’esecuzione di Fellowes, perché lui e Landevorne lo possano salvare, e il vescovo si rifiuta di collaborare, i due “..erano ritti l’uno di fronte all’altro, l’uomo di chiesa e l’investigatore, e l’odio sorto tra loro accendeva i due volti come una fiamma. – Vescovo Wolfe – scandì Bencolin – Pilato era più misericordioso di lei”. Qui è utile commentare come Bencolin appaia molto più umano del vescovo e molto meno spietato e duro, e anche meno cinico di come apparirà nei romanzi successivi : la Chiesa (anglicana perché l’azione si svolge a Londra), nominata erede, ricaverebbe molti soldi, dalla morte di Fellowes e proprio il vescovo Wolfe ha aiutato a risolvere il caso. Noto solo come ancora una volta l’uso dei nomi è caratteristico: il vescovo si chiama Wolfe, e in tedesco Wolf significa “lupo”. Non mi sembra una scelta casuale, per un religioso che pur non essendosi macchiato del delitto, vedendo che dall’arresto di Fellowes avrebbe ricavato molto, si è offerto di aiutare la polizia ad arrestarlo. Nelle pagine finali di The Lost Gallows, Bencolin ricorda a El Moulk che lo sta salvando dalla morte per impiccagione, cui era stato destinato da ****, solo perché lo vuol vedere salire il patibolo all’alba e vuol vedere come gli carezzi il collo La Vedova Rossa, cioè la ghigliottina. E nell’epilogo della storia, quando tutti sono ammutoliti dall’orrore, Bencolin..canta allegro una canzoncina : Bencolin, giudice implacabile, avrebbe voluto vedere ghigliottinato El Moulk che era stato alla causa di un evento tragico, ma accetta la sorte del fato: Dio ha colpito il malvagio, e ha fatto giustizia. E tutto può finire bene.

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109 Responses

  1. Marco Piva

    Grandissimo contributo dell’amico Piero, voglio gustarmelo davvero per benino.
    Colgo l’occasione per augurarti ancora buon compleanno.
    E insomma…alla fine il regalo ce l’hai fatto tu :-)

  2. Piero

    Devo dire in tutta sincerità che da giovane mi ha affascinato molto la copertina oro di Il mostro del Plenilunio, realizzata da Barcilon: quelle di Barcilon erano copertine i cui soggetti avevano tratti sempre marcati e pose fortemente drammatiche. Non so per quale motivo furono affidate a lui le copertine dei primi Classici quando ancora in essere era il contratto con Jacono, fatto sta che la copertina più riuscita che riporta le caratteristiche citate nel romanzo circa la fisiognomica di Bencolin è proprio quella riportata su il Giallo Mondadori n.510, Il Mostro del Plenilunio, con illustrazione di Jacono.

  3. Piero

    Jacono a differenza di Barcilon che da al volto espressione “diabolica”, “lo fotografa”, riportando alcune delle stranezze della sua descrizione, per es.il suo leggero strabismo.

  4. anne67

    buon compleanno e grazie per il saggio!
    per una volta è il festeggiato a fare il regalo agli amici ;)….

  5. Dario Geraci

    Grazie a Luca che mi ha gentilmente inviato la cover originale della raccolta. 😉

  6. Luca Conti

    Grande illustrazione di Ferenc Pintèr, un maestro di cui si dovrebbe parlare più spesso.

  7. Piero

    Siccome il buon Marco dice che alla fine il regalo l’ho fatto io a voi (veramente il regalo l’ha fatto anche la Mondadori che mi ha permesso di offrirvi questo saggio), rispondo che chi voglia farmi un regalo, è sempre ben accolto. Non so..chi abbia per es. dei Capolavori del Giallo Mondadori o dei Pagotto, di cui non sappia che farsene, può sempre darli a me. Saranno molto ben accetti!
    Ovviamente quelli che non ho. :-)

  8. Piero

    Sì, ma Luca poteva anche dire qualcosa sul saggio, invece che parlare dell’illustrazione : sempre il solito paraculo ! :-)

  9. Piero

    Oops, scusate, sono imperdonabile.
    Sono stato birichino: vabbè, sostituisco quel “paraculo” con “simpaticone”.
    Contenti?
    Contento Luca?
    Ci scommetto che l’ha detto apposta, perchè sapeva che l’avrei notato. :-)

  10. Alessandro B.

    Piero, il tuo saggio è stato pubblicato su facebook da “Il Giallo Mondadori”.

  11. Dario Geraci

    Ricordo che la pagina facebook “fan” del Giallo Mondadori non è ufficiale e non è gestita da me. Il gruppo “Il Giallo Mondadori” invece, è stato aperto da me tempo addietro.. Il titolare della pagina fan comunque l’ha apertamente dichiarato qualche giorno fa.

  12. Luca Conti

    Piero, lasciami almeno il tempo di leggerlo, non è quel che si dice un telegramma…

  13. Marco Piva

    Grande Luca :-)
    Comunque Piero stiamo diffondendo il yuo sacro verbo pure su Facebook.
    Anzi sarebbe pure il caso che cominci un po’ ad ammodernarti…

  14. Piero

    Ferenc Pinter è quello che realizzò le illustrazioni per Maigret, tra l’altro.

  15. Massimo

    Visto che avete citato Pinter, artista cui sono molto affezionato, mi permetto di allegare un link al mio incostante blog, in cui parlavo della sua dipartita.
    Fa piacere sapere che molti di noi lo ricordano con l’affetto e la stima che merita.
    http://bustadimanila.blogspot.com/2008/03/un-uomo-come-un-altro-ferenc-pinter.html

  16. Luca Conti

    Piccolo quiz: in quale romanzo dell’87° distretto c’è un bel mistero di camera chiusa apparentemente irrisolvibile, tanto da spingere Steve Carella a proporre di “mandare un telegramma a John Dickson Carr”?

    Vediamo se qualcuno se lo ricorda (ma senza scartabellare su internet, eh :-) )

  17. Bernardo Cicchetti

    Attentato a Carella?…

  18. Luca Conti

    “Attentato Carella.” Risposta esatta!

  19. Piero

    @ Marco : Che significa “che cominci ad ammodernarmi” ?

  20. Piero

    :-)

  21. Piero

    Un altro emulo di Holmes, è Arthur Porges: in tempi recenti, 2003, sono uscite “The Adventures of Stately Homes and Sherman Horn: Being the Compleat Sherlockian Writings of Arthur Porges” (è morto nel 2006).
    Arthur Porges ha anche scritto:
    Dead Drunk (1959) e No Killer Has Wings (1960) che fanno parte delle “Dr. Joel Hoffman stories”; poi di rimarchevole, ha scritto, Coffee Break (1964) e Blood Will Tell (1966), che fanno parte a loro volta delle “Professor Ulysses Price Middlebie stories”; e infine sempre nel 1966 è uscito “Janie Zeroes In (1966)”, tutti o quasi racconti.

  22. anne67

    in tema di grandi maestri, che cosa ne pensate di questa classifica?
    http://www.timesonline.co.uk/tol/global/article3773630.ece
    domanda rivolta in primis ai nostri super esperti ovviamente……

  23. anne67

    @ dario
    immagino che anche il gruppo su Anobii sia amatoriale. perché un gruppo “ufficiale” sarebbe un grande aiuto vista la difficoltà di inserimento senza ISBN.

  24. Dario Geraci

    @anne:
    Esattamente. l’unico ufficiale è questo :)

  25. Quiller

    Complimenti per l’esaustività e la passione, Piero: sono ormai (gulp!) decenni che non leggo un giallo classico, ma mi hai fatto venir voglia di reperire qualche Carr.

    Mi associo in ritardo agli auguri, e mi permetto di segnalare che il “J.T.Yoshi” referenziato nell’articolo è in realtà S.T.Joshi, che conosco in quanto studioso di Lovecraft (lui, non io :-) )

  26. Piero

    @Quiller : E’ scappata la sostituzione della “S” con la “J”.
    Per il resto il tuo commento è la più bella delle lodi: grazie di cuore!
    Sapere che forse son riuscito a far amare e a incitare a leggere uno dei miei primi amori, è una cosa che francamante mi inorgoglisce: del resto, come ho detto alcune volte, il primo Carr che lessi fu Il Terrore che Mormora, ma quello che ebbe ripercussionid evastanti perchè da allora cominciò la ricerca sistematica dei Carr, fu “Il Mostro del Plenilunio”, il primo romanzo di Carr, se si esclude quello di cappa e spada, bruciato.
    Grazie ancora.

  27. giuseppina la ciura

    Caro Piero,
    per il tuo compleanno si aprono addirittura le porte del blog!
    Complimenti per il tuo articolo molto interessante e auguri ancora
    ciao
    Giuseppina

  28. Piero

    @Anne67: non avevo visto che sei un’anobiaba: meglio!
    Innanzitutto il gruppo Il Giallo mondadori su Anobii si è costituito tempo fa per metter ordine su Anobii e non solo, nelle biblioteche mondadoriane degli amanti del giallo: si basa per le due collane maggiori (regolarmente completate e aggiornate dagli aderentisu) un sito a parte, comprendente anche altre serie, della Feltrinelli, della Garzanti, serie di Maigret, etc..
    E’ un gruppo molto serio che offre un servizio notevole: per i collezionisti, è uno dei pochissimi luoghi dove trovare i numeri di tutti i Gialli usciti dall’inizio della collana.
    Per quanto riguarda la lista, se fossimo in america avrei detto..un’americanata. Siamo in Inghilterra però: e a questo proposito faccio mio, quanto detto da Luca a proposito della lista di Fearing: è troppo sbilanciata verso gli inglesi (nonostante siano presenti anche altri tra cui Camilleri) ed è troppo sbilanciata sul noir : del noir hanno inserito molti, del classico ne hanno dimenticati molti. Tra queste due schiere molti esponenti dell’ultima ondata, non ancora storicizzati.

  29. Piero

    @Giuseppina: grazie.
    Ma..l’articolo sarebbe dovuto uscire a metà settembre. E’ stato un regalo di Dario, che ha anticipato l’uscita facendola coincidere col mio compleanno.

  30. Giulio

    Davvero interessante, una boccata d’ossigeno per tutti i bencoliniani. A proposito, i racconti sono mai usciti in italiano?

  31. Piero

    Mi avrebbe dovuto spiegare chi avesse avuto la malaugurata idea di approntare questa pretenziosa classifica dei 50 migliori giallisti di tutti i tempi, come si possa mettere tra i 50..Sara Paretsky, Donna Leon, Reginald Hill, Michael Dibdin,Carl Hiaasen,Walter Mosley,
    Karin Fossum,Val McDermid, Dick Francis. E ce ne sarebbero altri 4-5 più conosciuti che non mi pare possano rappresentare il meglio del meglio.
    Reginald Hill qualcosa ha fatto e pure Dibdin,ma metterli tra i migliori 50 mi sembra una colossale spacconata. E poi tralasciare Rex Stout, Ellery Queen, S.S.van Dine, Peter Lovesey, Chesterton, Philip MacDonald, Georgette Heyer, Michael Innes, qualche francese tra cui almeno Steeman e Boileau se non Halter, N.Marsh, C.Rice, Burnett, J.Latimer.
    Io comunque non posso pensare assolutamente che uno possa essersi ubriacato e aver vergato una simile lista: forse è più probabile che tale lista sia uscita dalle preferenze dei lettori. E allora, si spiegano certi nomi stranamente presenti e altri altrettanto stranamente non.
    E non si è parlato neanche di Brand, McCloy; e di autori di thriller: perchè la Cornwell e non Freeman, perchè non Thomas Harris?
    Bah..

  32. Piero

    @Giulio: certo. Come riportato nel saggio, si trovano sia in La porta sull’abisso, la cui copertina è riportata all’inizio (Mondadori, Altri Misteri, 1986) interessante perchè contiene 2 saggi di Carr, anche se uno accorciato (chissà perchè, da A.M.Francavilla) e dei radiodrammi: un amico mi ha recuperato il volume (pubblicato a cura di Douglas G. Greene, il più grande studioso di Carr), bontà sua, e che mi sta arrivando in questi giorni; sia nel Supergiallo n.21 del 2001, interessantissimo, con una bella prefazione dell’intramontabile Boncompagni, e che contiene tra l’altro anche racconti del Colonnello March.

  33. anne67

    @ piero
    grazie per le dritte :).
    particolarmente utili perché mi rimane l’inserimento proprio della maggior parte dei gialli mondadori, ancora a casa dei miei per motivi di spazio.
    sì, sono un’anobiana di ritorno dopo un breve periodo di pausa ;).
    in realtà due volte anobiana perché per comodità recentemente ho separato la libreria gialla da quella generale.
    concordo con quello che dici riguardo alla classifica.
    in alcuni casi è l’opera omnia di alcuni autori esclusi che dovrebbe giustificarne l’inserimento, in altri casi è la posizione (che comunque avrei evitato preferendo un’indicazione più generica dei 50 autori fondamentali del genere) che mi lascia perplessa.
    Rankin prima di Lehane ad esempio, la Fossom prima di Mankell. E poi anche tra i “controversi” perché Hill e non Peter Robinson?

  34. Luca Conti

    Al di là delle classifiche, che lasciano ovviamente il tempo che trovano, Reginald Hill è uno dei più importanti autori di polizieschi in attività, e in assoluto uno dei maggiori giallisti inglesi degli ultimi quarant’anni.

    Purtroppo l’editoria italiana l’ha sempre trascurato in maniera del tutto incomprensibile, traducendo pochissime opere della sua vasta produzione. Ma un romanzo come “La collina di Beulah”, ancora disponibile in libreria per Passigli, è un autentico capolavoro che fa impallidire gran parte della produzione giallistica contemporanea.

    Paragonare Hill a Peter Robinson, per quanto quest’ultimo sia un eccellente artigiano e abbia scritto diversi bei romanzi, è del tutto improponibile.

  35. anne67

    @ lconti
    al momento ho letto in originale un solo romanzo di Hill, “Bones and Silence” e se devo essere sincera non mi ha particolarmente impressionato….per lo meno non ho notato una differenza così eclatante rispetto a Robinson.

  36. Luca Conti

    Be’, Hill ne ha scritti più di cinquanta. Ti manca un bel po’ di roba :-)

    Procurati “La collina di Beulah” e poi ne riparliamo.

  37. anne67

    forse un’alternativa interessante ad una classifica concepita come quella del Times potrebbe essere una suddivisione in generi chiedendo di citare 5/10 autori imprescindibili per ciascuno.

  38. Luca Conti

    Bene. Sono finalmente riuscito a leggermi tutto il saggio di Piero, che ho trovato molto interessante e ben fatto. Bravo!

    Aggiungo una cosa che forse non tutti sanno, ovvero che il celeberrimo “Le tre bare” era stato in origine concepito da Carr come un romanzo con Bencolin e con tutt’altro titolo, “Vampire Tower” (anche se l’idea di fondo era la stessa). A libro già inoltrato, però, Carr cambiò idea, distrusse i capitoli già scritti e ripartì da capo inserendo Fell. Il titolo “Vampire Tower” (cui era evidentemente affezionato) verrà poi utilizzato da Carr per un radiodramma negli anni Quaranta, così come avrebbe potuto funzionare benissimo al posto di “He Who Whispers,” ovvero il “Terrore che mormora.”

    Altra noterella. “Black Canary,” lo speciale natalizio 1998 della serie “Jonathan Creek,” è un notevolissimo omaggio a John Dickson Carr che incrocia la soluzione delle “Tre bare” con quella di “Assassinio al priorato” e vede all’opera un ispettore di polizia chiamato Gideon Pryke che però, a differenza del suo famoso omonimo Gideon Fell, cicca clamorosamente la soluzione del mistero :-)

  39. anne67

    @ luca
    grazie per la dritta :).
    il pb di “On Beulah Height” è appena uscito. l’ho inserito nella mia wishing list natalizia.

  40. Piero

    Ho una mezza idea di scrivere qualcos’altro in futuro, ma non necessariamente su Carr.

  41. Piero

    L’Ispettore che in Black Canary citato da Luca, si chiama Gideon Pryke, ha il suo nominativo formato da Gideon (nome di Fell) e Pryke, nome di un giornalista freelance che aveva intervistato una volta lo scrittore degli episodi di J.Creek, David Renwick.

  42. anne67

    ci provo. Halter?

  43. Alessandro B.

    Molto bello il saggio, davvero interessante. Piero (come Luca) è sempre una miniera inesauribile di informazioni.

  44. Piero

    In aggiunta a quello che giustamente dice Luca, riporto che il Radiodramma The Vampire Tower
    fra l’altro è uno di quelli contenuti nella raccolta pubblicata su I Classici del Giallo 787 “I morti hanno il sonno leggero”: vi compare il professor Grimaud che poi viene ucciso in The Hollow Man.
    Va detto però che quel radiodramma ha due titoli a seconda dell’edizione inglese e americana: The Vampire Tower (inglese) e Will You Walk into My Parlor? (americana) e nell’edizione americana i personaggi sono del tutto diversi, come pure i dialoghi anche se la trama è la stessa.
    Va detto che il plot che il radiodramma usa è fondamentalmente quello di “Death in Five Boxes”, romanzo della serie di H.Merrivale (Carter Dickson).

  45. Piero

    Pecco di immodestia se dico avrei tanto voluto conoscere il giudizio anche di Boncompagni su questa cosa che ho scritto? In fondo tutta una generazione ha imparato ad amare Carr grazie alle sue note.

  46. Piero

    Ho letto oggi una recensione godibile, di una lettrice che ha trovato ad una svendita un libro di un autore di cui non aveva mai sentito dire prima: “L’arte di Uccidere” di Carr. Mi piace commentare che a parte che la lettrice sia rimasta entusiasta del libro e commenti che ancor oggi un giallo del passato può essere paragonato con uno del presente, cita nella sua semplicità, che il modus operandi di Bencolin ricorda quello di Conan, l’investigatore dei cartoni animati.
    E’ una cosa che dovrebbe far pensare.

  47. Piero

    Stamattina ho trovato parecchie cose, tra cui l’Estate Gialla 1993, in cui vi sono tra gli altri, 2 racconti di Hoch, tra cui “Il caso del Palco Stregato”, palco dell’orchestra: un presunto fantasma che uccide il sindaco e poi..scompare. Non vedo l’ora di leggerlo stasera. Assieme all’altro: “Il furto della bustina usata”.

  48. esnaider

    Cconfesso che la genesi del pur amato personaggio di Bencolin ha per me un interesse molto limitato.
    Però il saggio è scritto ed organizzato in modo esemplare. complimenti.

  49. Piero

    Francamente avrei aggiunto anche dell’altro, ma..avevo paura di far correre troppo la fantasia

  50. Piero

    Avrei parlato di una stranezza che mi era parsa, ma ora non credo più sia tale, perchè quando ho scritto questo saggio, cioè un mese fa, non sapevo che Carr e Rawson, si incontrassero o si scrivessero, e dissertassero su temi a loro cari, per es. la sparizione dell’arredamento di una stanza, per poi finire a concedersi reciprocamente di scrivere delle cose; questo, “In the Queen’s Parlor” (Nel Salotto della Regina si tradurrebbe, ma qui si intende..Nel salotto di Queen), dove Ellery Queen, cioè i due cugini, facevano poi da testimoni degli scambi di idee tra i due amici, Carr e Rawson. Questo perchè non si potesse poi dire che uno aveva rubato l’idea dell’altro.
    Se prima la derivazione del racconto dal romanzo, anche se il titolo era molto simile, non era cosa sicura, ora invece, alla luce di quello che ho detto prima,del fatto cioè che i due amici si rimpallassero le situazioni, quasi scommettendo che uno avrebbe superato l’altro, il fatto che per es. il secondo romanzo di Rawson,The Footprints On The Ceiling,”Le Impronte sul soffitto”(1939) sia potuto essere il modello per il celebre racconto di Carr, “The Footprints On The Sky” di Carr, mi appare evidente. Anche se la soluzione del racconto di Carr, che è del 1940, appare già nel suo romanzo con Fell, The Problem of the Wire Cage, “Gideon Fell e la Gabbia Mortale” (1939).

  51. Luca Conti

    Anche il romanzo di Carr “He Wouldn’t Kill Patience” è nato da uno scambio di idee tra Rawson e Carr a proposito di un particolare delitto di camera chiusa. Carr, appunto, dette una possibile soluzione con questo romanzo, mentre Rawson propose la sua, qualche anno dopo, col racconto “Out of This World”.

    Nel 1962, poi, i due autori avevano iniziato a progettare un romanzo a quattro mani basato sulla scoperta di un manoscritto inedito di Edgar Allan Poe all’interno di una tomba del cimitero di Mamaroneck (la cittadina in cui abitava Carr). Purtroppo questo progetto non è andato al di là delle fasi iniziali, così come – negli stessi anni – Carr aveva iniziato a scrivere un nuovo romanzo con Merrivale, da intitolarsi “The Six Black Reasons” (ispirato a un suo radiodramma dal titolo “The Nine Black Reasons”) che però decise di sospendere dopo otto capitoli e dopo aver sostituito Merrivale con il colonnello March. Di questi otto capitoli non vi è più traccia, e c’è da credere che siano stati distrutti.

  52. Piero

    Peccato che uno per conoscere di più debba essere costretto a fare i salti mortali, su internet : invidio quelli (che hanno librerie nella loro città), che possono tranquillamente ordinare libri da ogni parte del mondo.
    Del resto dei bellissimi e fondamentali libri di musica che posseggo e che sono in americano, li acquistai tramite una libreria del settore,di Milano, quando ancora ero libero ( intendo libero da impegni familiari)e potevo girare l’Italia a piacimento.

  53. Luca Conti

    Mah, devo dire che pur abitando a Firenze (e avendo vissuto per lungo tempo a Milano, dove comunque torno spesso), l’esistenza di internet mi ha consentito di procurarmi libri che mai e poi mai avrei potuto ordinare in una libreria italiana. Il libro di Douglas Greene su Carr, per esempio, è ormai fuori catalogo da tempo immemorabile, e se uno lo vuole acquistare può procurarselo soltanto usato e via internet (a patto di essere disposto a sborsare minimo una sessantina di dollari, ben che vada).

  54. Fabio Lotti

    Bravo Piero! Citati anche gli scacchi come esempio di analisi retrogada.

  55. Piero

    @Luca: sei sparito da Anobii : TI SEI FATTO FRATE, O STAI RIMETTENDO MANO AL DIZIONARIO PER LA SUA PUBBLICAZIONE?

  56. Piero

    Ed io che pensavo che fosse il mio PC ad essere “andato”: invece scopro che c’è gente che sta peggio di me, e la mia connessione è più che sufficiente per consentirnmi di fare quel che voglio.

  57. Alberto

    Anche a me interesserebbe sapere che fine ha fatto il Dizionario poliziesco.

  58. Piero

    Non voglio ritornare a battere il tamburo, ma…’sto benedetto Dizionario esce o non esce?

  59. Piero

    Facciamo un annuncio a “Chi l’ha visto?” per il Dizionario?

  60. Marco Piva

    Questo silenzio di Luca in merito è inquietante :-(

  61. anne67

    decisamente. perché anch’io ero in fiduciosa attesa ;)…

  62. Luca Conti

    Ragazzi e ragazze, l’ho già scritto non so più quante volte, su questo blog: rispetto a qualche mese fa, non c’è niente di nuovo. Anch’io attendo notizie.

  63. Alessandro B.

    Attendiamo in fiduciosa attesa.

  64. Piero

    @Fabio: guarda che non sono io a definire il gioco degli scacchi un’analisi retrograda, ma Bencolin. Forse le troppe partite ti stanno facendo male. :-)

  65. Piero

    @Fabio :Anche se son convinto che se partecipassi ad un terzo torneo a seguire rispetto all’ultimo, ti piazzeresti ancora meglio: non è solo concentrazione e strategia, ma anche entrare in partita con lo spirito giusto.

  66. Piero

    Tra meno di un mese Luca festeggerà l’anniversario :-)

  67. Piero

    Sto rileggendo gli S.S. Van Dine, nella traduzione di Ferrari, decisamente meglio della precedente: aveva ragione Luca. Il guaio è che quando si son già letti i romanzi, per rileggerli in altra traduzione, mettendo da parte cose che non si son lette proprio, ci vuole una grande forza di volontà. Se non l’amore verso quel tipo di produzione.

  68. Alessandro B.

    Alcuni sostengono che i gialli non appartengono alla letteratura “alta” perchè, una volta letti, non è possibile rileggerli.

  69. Fabio Lotti

    Per Piero. O che li abbia citati tu o Bencolin sempre scacchi citati sono…

  70. Piero

    La cosa bella tuttavia di una traduzione integrale che completi quellla precedente, è che per uno che abbia già letto il romanzo nella traduzione ridotta, essa diventa una meta-lettura, un modo per impadronirsi di quelle piccolezze che tuttavia caratterizzano l’autore da un altro (es. le note presenti nei Queen). O le descrizioni.

  71. Piero

    @Alessandro B.: E chi sostiene questa incommensurabile sciocchezza? Forse che non sia salutare o non porti piacere andarsi a rileggere un giallo che si sia apprezzato in passato? Riaffermo quello che ho detto: si può rileggere un romanzo anche per appropriarsi della maniera di scrivere di un autore (e forse questa è la cosa migliore) e non solo per leggere chi sia l’assassino.
    Io per esempio ho riletto 2 volte Delitti da mille e una notte e 2 volte pure Il Mostro del Plenilunio, L’arte di uccidere e l’Ultima carta (oltre la prima lettura); ho riletto 3 volte Il Mistero delle Croci egizie, 1 volta l’Affare Khalkis, la Casa delle Metamorfosi, Il caso dei Fratelli siamesi, Delitto alla rovescia, Il re è morto, Un paio di scarpe (vecchia traduzione, facendo fatica a capire: se ci fosse stata una cartina esemplificativa sarebbe stato meglio), Colpo di grazia; Il caso di Elasa Greer, Il natale di Poirot, Corpi al sole, Poirot e la salma, Tre mesi dopo, Il pericolo senza nome, L’assassinio di Roger Ackroyd, 10 piccoli indiani; Nebbia rossa, La tela di Penelope, la Quarta porta..per esempio.
    :-)

  72. Alessandro B.

    Purtroppo non ricordo il nome, ma si trattava di un autore che ho sentito tempo fa in un programma televisivo.
    Io, ovviamente, non sono d’accordo. Anche a me piace rileggere, di tanto in tanto, gialli già letti (di Carr, di Van Dine ed altri); a parte il fatto che ci sono alcuni libri, comprati più di 25 anni fa, di cui non ricordo quasi niente.

  73. GianniT

    Sto per rileggere Uno studio in rosso dopo ben 24 anni. E lo leggerò in inglese. La considero una vera e propria “prima volta”.
    La rilettura è un momento fondamentale per la conoscenza di un libro. Al di là della fabula si percepisce con maggiore chiarezza l’intreccio ed i significati che vi si nascondono. Fa effetto leggere ancora di certi pregiudizi ma purtroppo non sorpende più di tanto.

  74. Fabio Lotti

    La rilettura è pure un’arma didattica di notevole rilievo. Con i miei alunni alla fine dell’anno scolastico rileggevamo alcuni brani o poesie lette nei primi mesi. Venivano fuori nuove scoperte e cambiavano pure numerosi giudizi. Era una vera e propria riscoperta. I

  75. Piero

    Vedi Fabio che in fondo in fondo diaciamo le stesse cose?
    Nel Giallo la rilettura serve anche molto spesso a capire la portata di certi indizi che a prima vista non ti sembrano tali, e a vederli non solo oggettivamente ma anche relativamente rispetto agli indizi messi in altri romanzi, puoi capire la statura di un autore.

  76. Piero

    Ad Alessandro B. dico che prossimamente usciranno dei miei brevi saggi riguardanti alcuni autori di nicchia, su Sherlock Magazine. Nel primo si parlerà anche di quanto stiamo dicendo.

  77. Fabio Lotti

    Aspetto i tuoi articoli.

  78. Alessandro B.

    Bene, Piero. Li leggerò con interesse.
    Prima o poi proverò a leggere qualcosa in inglese (magari di Doherty), con un pò di sforzo e con l’aiuto del dizionario.
    La rilettura è importantissima perchè, conoscendo già la soluzione, si può seguire il percorso che l’autore ha predisposto per condurci alla soluzione (o per sviarci da essa). E poi è bello rivivere le atmosfere e i personaggi che ci sono cari.

  79. Piero

    Proprio oggi, mi è arrivato un pacco inviatomi dal mio amico Mauro Catoni, grande collezionista di fantascienza (e di gialli : abbiamo fatto un cambio). In esso, il libro la cui copertina è riportata all’inizio del saggio: LA PORTA SULL’ABISSO, di John Dickson Carr.
    Assieme dei gialli che ho i brividi a riportare.

  80. Alessandro B.

    Bel colpo. Titolo difficilissimo da trovare.

  81. Luca Conti

    Ma no… Bastava comprarlo quand’è uscito:-)

  82. Piero

    Beh, devo dire che il carissimo Mauro mi inviato non solo il Carr ma anche un Latimer che cercavo da una vita, “I morti non sanno” (3 Scimmiette) e molte altre cose.

  83. Bernardo Cicchetti

    Mi piacerebbe scambiare qualche impressione con chi ha avuto la ventura di leggere The woman in the wardrobe dei gemelli Shaffer. Personalmente, lo considero un assoluto capolavoro (e non solo nel genere…).

  84. Luca Conti

    Bernardo, certo che è un capolavoro. Peccato solo che lo Shaffer superstite si rifiuti categoricamente di farlo non solo ristampare in inglese, ma anche tradurre in altre lingue…

  85. Piero

    Invidio chi è più fortunato di me. Io purtroppo non l’ho letto, nè l’ho mai visto in giro. So, però, per aver letto, che si tratta di una delle migliori Camere Chiuse in assoluto.
    Ma altra grandissima camera chiusa dei fratelli Shaffer, di cui ho letto su siti stranieri, è “Withered Murder”.

  86. Bernardo Cicchetti

    L’atteggiamento di Peter (Shaffer) è del tutto incomprensibile. Come si fa a vergognarsi di un libro simile? Per scrittura, trama, personaggi e arguzia è una delle migliori cose uscite dalla loro penna…

  87. Luca Conti

    Il risultato (ma vale anche per gli altri due gialli della coppia, al momento non ristampabili né traducibili) è che “The Woman in the Wardrobe”, sebbene del 1951, è diventato un libro di rarità sconsiderata. Credo – ammesso si riesca a trovarne una copia in vendita, il che attualmente non sembra possibile – che non basterebbero un migliaio di euro (“Withered Murder,” invece, si porta a casa con un centinaio, mentre il secondo, “How Doth the Little Crocodile?” l’ho visto in vendita a più di 600…).

  88. Piero

    Se non è bislacco potrebbe darsi il caso che l’atteggiamento nascondi proprio il voler rendere i propri romanzi delle rarità assolute: basta averne qualcuno invenduto da allora, e uno diventa ricco (si fa per dire).

  89. Bernardo Cicchetti

    Mah, non credo che Peter Shaffer abbia come obiettivo l’arricchimento dei collezionisti. Posso affermare che la mia copia me la sono procurata su ebay lo scorso anno senza svenarmi. La cercavo da tempi immemorabili e non mi sono lasciato scappare l’occasione (più unica che rara). L’ho pagata una cifra a metà strada fra quelle che Luca indicava per Withered e Crocodile. Devo dire che la lettura vale fino all’ultimo centesimo di euro che ho sborsato. Spiace davvero che il libro non abbia la possibilità di correre sulle proprie (lunghissime) gambe.

  90. Piero

    E allora potrebbe essere valida la prima ipotesi.

  91. Luca Conti

    Credo che i gemelli Shaffer considerassero la loro attività giallistica come una sorta di peccato giovanile (ovviamente sbagliando, ma credo che ormai ci sia ben poco da fare).

  92. Piero

    Il ben poco tiene conto ovviamente del periodo che deve passare perchè scadano i diritti di autore: immagino che se anche qualcuno avesse la buona idea di tradurre avendo l’originale, comunque il gemello superstite non darebbe l’autorizzazione a farlo e quindi bisognerebbe aspettare per l’Italia che scadano i 70 anni previsti..o sbaglio?

  93. Luca Conti

    Piero, nell’Unione Europea i diritti scadono 70 anni dopo la morte dell’autore, non dopo 70 anni dalla pubblicazione di un’opera. E Peter Shaffer è ancora vivo e vegeto, quindi se ne riparla non prima del 2080…

  94. Piero

    Qualcuno mi spieghi una cosa, e desidererei tanto che me la spiegasse in primis proprio Mauro Boncompagni, perché fu lui tempo fa, intervenendo qui sul Blog, a dire che Berkeley lo si era fatto quasi tutto. Ora, io per parecchio tempo ho dato per buona quell’affermazione, che voleva essere esaustiva. Poi, qualche tempo fa, rimettendo ordine tra le pubblicazioni in mio possesso, e consultando dei siti stranieri, mi sono accorto che in verità di Anthony Berkeley pseudonimo di Anthony Berkeley Cox erano stati pubblicati n.10 romanzi di complessivamente 21 credo.
    Intendiamoci: può darsi pure che lui intendesse riferirsi ai romanzi di Berkeley del ciclo di Roger Sherringham, ed in effetti di quella serie di dieci romanzi nove ne sono stati pubblicati nei vari anni, salvo l’ultimo, Panic Party, che è ancora inedito.
    Del resto, romanzi scritti con lo stesso pseudonimo, e altri scritti sotto altri tre pseudonimi, Monmouth Platts, A.B.Cox, Francio Iles, fu pubblicato solo uno credo di quest’ultimo, il famoso Before The Fact “Il Sospetto” da cui fu tratto il celebre film di Hitchcock con Cary Grant.
    Recentemente Polillo ha pubblicato un altro dei quattro di Iles, Malice aforethought, “L’omicidio è un affare serio”.
    Tenendo conto che Berkeley finì di scrivere romanzi polizieschi nel 1939, mi sembra che tutto quello che ha scritto appartiene a ben donde all’età d’oro del Giallo. Un peccato quindi che la pubblicazione degli inediti si sia interrotta, quando era cominciata e sistematicamente portata avanti. Un altro di quei casi di autori di rilievo, la pubblicazione della cui produzione si stava effettuando e poi si è interrotta.
    Tanto per non parlare nuovamente di Paul Halter.

  95. Luca Conti

    Piero, l’unico inedito italiano a nome Berkeley resta proprio “Panic Party”.

    Dei libri a nome Iles, “The Rattenbury Case” non è un giallo ma un libro di true crime, la ricostruzione di un celebre caso criminale inglese del 1935, il cosiddetto caso Rattenbury-Stones.

    E neanche “As for the Woman”, che è l’ultimo romanzo a nome Iles, è un poliziesco (anche se all’inizio potrebbe sembrarlo) ma un robusto romanzo psicologico che di giallo ha poco o niente. E’ un libro di pregio, ma il suo posto non sarebbe certo in una collana gialla.

    “Malice Aforethought”, quello ripubblicato da Polillo, era già uscito in Italia nel 1959 per Garzanti.

  96. Piero

    Allora…
    Devo dire che di Panic Party con Luca se ne era parlato privatamente su Anobii circa due mesi fa. Al di là di questo, Luca, The Rattenbury Case non l’avevo proprio considerato: i tre di Iles che avevo davanti agli occhi erano il Mondadori, il Polillo (già garzanti, lo sapevo già..non le tre scimmiette ma l’altra serie, con la copertina nera) e As for the Woman. La tua spiegazione ovviamente basta e avanza..per Iles.
    Il fatto è che vi sono anche altri romanzi polizieschi, ed io proprio su questi attendevo precisazioni: cioè THE PICCADILLY MURDER (1929), TRIAL AND ERROR (1937), NOT TO BE TAKEN(1938), DEATH IN THE HOUSE(1939)sotto pseudonimo A.Berkeley; sotto quello Monmouth Platts “Cicely Disappears” (1927) e infine sotto quello A.B.Cox, “Mr. Priestly’s Problem” (1927).
    Su tutto questo mi piacerebbe avere delle risposte.

  97. Piero

    No, mi sbaglio, era proprio la serie delle tre scimmiette. Chissà perchè la ricerca che avevo fatto nella lista non mi dava risultati. Ma ho controllato di nuovo ed invece è proprio in quella mitica serie che uscì, col numero 143, e il titolo Omicidio Premeditato.
    Una collana mitica, quella delle tre scimmiette, con ottimi romanzieri e delle uscite mai più riprese: cito per es. L’Enigma dei Narracong di Derleth, Peccatori e sudari e La bara di visone di Latimer, La donna che visse due volte e Misterius di Boileau & Narcejac, etc..
    Io ne ho una ventina, tutti con la copertina originale, meno Cosmetici e Veleni di Fearing. Bisogna dire che sul versante del collezionismo, la mancanza della copertina annulla il valore o quasi del romanzo.

  98. Piero

    Oddio, so benissimo che non usciranno, ma..se fossimo stati in un periodo più favorevole, questi Berkeley inediti, sarebbero potuti uscire ?

  99. Piero

    E siccome non voglio proprio passare nè per visionario nè tantomeno per impreciso, ecco la fonte privilegiata a cui fra tante ho fatto riferimento nel mio post :
    http://www.classiccrimefiction.com/berkeleybib.htm
    Chi vorrà andare a curiosarvi troverà per di più,come avevo detto, dopo l’intervento di Luca, che il romanzo citato da lui “The Ratterbury Case” non è proprio compreso tra i romanzi di Berkeley pubblicato con pseudonimo Francis Iles, mentre invece lo è in altri siti.
    Questo però è un sito per collezionisti e, quindi, molto affidabile.
    Una pagina del sito ancora più indicativa è la seguente :
    http://209.85.229.132/search?q=cache:zCl4MUG6lyAJ:www.detective-fiction.com/anthonyberkeley-bibliography.htm+anthony+Berkeley+cicely+disappears&cd=4&hl=it&ct=clnk&gl=it
    in cui si specificano i romanzi di Berkeley, cosiddetti “Crime – Mystery Books”.
    Come si vede risulta che ancora parecchi e non solo Panic Party (che è il solo della serie di Roger Sherringham a esser inedito in Italia) son lungi dall’esser stati pubblicati qui da noi, e quindi..sono inediti. :-)

  100. Luca Conti

    Sì, scusa, Piero. Mi riferivo appunto alla serie di Sheringham (e a un recente colloquio avuto proprio con Boncompagni a proposito di Panic Party, che è rimasto l’unico inedito).

    Per quanto riguarda gli altri, l’unico che andrebbe assolutamente pubblicato è “Trial and Error”, per quanto mi riguarda un vero capolavoro. Il resto è trascurabile, soprattutto un bruttissimo e fallimentare romanzo come “Death in the House”.

  101. Piero

    Malice Aforethought non l’ho ancora letto e quindi non mi esprimo: dicono che sia uno dei più grandi capolavori dell’età dell’oro del Giallo, e Il sospetto è bellissimo.
    E’ come però se in Berkeley ci fosse una dissociazione di identità: alcuni romanzi sono brutti, altri tediosi, altri bellissimi e altri ancora indimenticabili: mi ricordo per es. L’Ultima tappa “Jumping Jennie” che è uno dei romanzi che più mi son piaciuti e che è indimenticabile se lo si legge bene. Che è anche uno di quei libri in cui il titolo tradotto ci azzecca poco con quello originale.

  102. anne67

    @ piero e luca
    siete una miniera di tentazioni (e una dannazione per il portafoglio ;D!)

  103. Piero

    Ma a che servono i soldi se non a farci vivere meglio? E a soddisfare i propri bisogni ? Allegra: se non hai letto Iles e Berlkeley, è un danno; se non hai letto tutti o quasi gli Ellery Queen, i Christie e i Carr è un grave danno; gravissimo se non hai letto i miei racconti pubblicati su Sherlock Magazine !
    eh eh eh :-)

  104. Piero

    Comunque..
    un bel romanzo che qualcuno potrebbe pubblicare se volesse, è “The Bach Festival Murders (1942)” di Blanche Bloch,pianista e moglie del celeberrimo Alexander Bloch, che ha scritto solo questo mystery che io sappia. Per chi sia interessato : http://209.85.229.132/search?q=cache:9Z-9BrmDxfYJ:gadetection.pbworks.com/Bloch,-Blanche+Blanche+Bloch&cd=3&hl=it&ct=clnk&gl=it
    Da altre fonti si ricava che abbia scritto anche un altro mystery “The Strange Case of Mr. Crawford”: http://jwa.org/encyclopedia/article/bloch-blanche, romanzo ignorato da studiosi americani molto conosciuti, che parlano del primo mystery come l’unico scritto da questa pianista e scrittrice.
    Poi c’è anche George Antheil di cui Shake editore ha pubblicato sei mesi fa “Death in the Dark”, e poi i tanti romanzi di Edmund Crispin, alias Bruce Montgomery, grande organista.

  105. Piero

    Ho detto del primo che è l’unico che io conosca, per il fatto che ne conosca plot e struttura del romanzo, in quanto è stato fatto oggetto di studio in alcuni saggi americani. L’altro, pur esistendo, come ho detto è ignorato da molti e quindi al momento si sa poco e nulla di esso.

  106. Piero

    Prossimamente uscirà in edicola, “Morte a passo di Walzer”, tratto da Carr, e precisamente da “Fire,Burn!”. Si ipotizzava su un forum verso ottobre-novembre: poi si vedrà.

  107. Alessandro B.

    Io aspetto il Latimer che, a quanto pare, contiene una specie di camera chiusa all’aperto. Ma Latimer non appartiene alla scuola dell’hard-boiled?

  108. Piero

    Sì,ma non era uno scrittore puro: era un manierista, un grande manierista. Dotato di una penna eccezionale, e anche di grandi idee, e che mischiava sapientemente l’Hard boiled col Giallo classico, riuscendo laddove altri non sono riusciti: confezionare dei prodotti che sfidando il tempo sono ancora godibili. Non vergognandosi di utilizzare anche delle camere chiuse talora.
    Vedrai che qualcosa della Garzanti verrà riproposto da Mondadori, ne sono sicuro, circa Latimer.

  109. Piero

    Trovati, il Latimer e il Devine !

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